Si spegne un faro: proprio nel momento in cui la magistratura italiana vive il suo momento più buio…
Francesco Saverio Borelli è morto. Nato a Napoli il 12 aprile 1930, ha esalato l’ultimo respiro presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, dove era ricoverato da un paio di settimane. Lo piangono la moglie Maria Laura, i figli Andrea e Federica. Su Facebook, il ricordo toccante di sua figlia: “Ti tengo la mano e, insieme alle lacrime che non ho il pudore di nascondere, scorrono i mille ricordi di quanto vissuto con te”.
Borelli aveva 89 anni e, per 47 anni, ha indossato la toga consacrando la sua vita alla Giustizia. Un principio che ha dato forza ai suoi valori di uomo (prima) e di magistrato (poi). Si è laureato in legge con una tesi su “Sentimento e sentenza” che ebbe come relatore uno dei più ammirati tra i padri costituenti, Piero Calamandrei. Nel 1955 ha vinto il concorso in magistratura. In un primo momento, si è dedicato al civile. Poi, passato al penale, ha presieduto sezioni di tribunale e corte d’Assise.
Brigate Rosse e Calciopoli, tra le inchieste più celebri. La fama di Borrelli, però, è indissolubilmente legata all’era di Tangentopoli che frantumò la Prima Repubblica. Diresse il pool di magistrati a capo dell’inchiesta di Mani pulite coordinando le operazioni dei vari Antonio Di Pietro, Ilda Boccassini, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo.
“Mani pulite” fu l’espressione coniata nel 1975 da Giorgio Amendola, deputato dell’Assemblea Costituente sotto le file del PCI, durante un’intervista pubblicata a Il Mondo: «Ci hanno detto che le nostre mani sono pulite perché non l’abbiamo mai messe in pasta». Amendola, in realtà, citava a sua volta don Lorenzo Milani, ma questa è un’altra storia…
Tra le mani (meno) pulite c’erano quelle di Bettino Craxi, presidente del Consiglio dal 1983 al 1987 e segretario del PSI fino al 1993. Craxi accumulò due condanne definitive: la prima di 5 anni e 6 mesi per corruzione nell’inchiesta Eni-SAI; la seconda di 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito della Metropolitana Milanese. Cionondimeno non scontò la sua pena, rifuggendola con un altro reato: scelse la latitanza ad Hammamet in Tunisia, dove risiedette fino al giorno della sua morte.
Altrettanto poco pulite sono state le parole di Bobo Craxi, figlio di Bettino, nel giorno della morte di chi ha avuto l’unica colpa di alzare un baluardo in difesa della legge contro la barbarie della corruzione. Craxi, sul conto di Borelli, ha tuonato: “Ebbe la funzione di guidare un sovvertimento istituzionale da parte di un corpo dello Stato nei confronti di un altro. Non è una mia opinione personale, i giuristi lo chiamano colpo di Stato“.
Una voce, per fortuna, isolata che non vale a spegnere il ricordo che di Borelli hanno menti ben più illuminate: o magari semplicemente più disinteressate e intellettualmente oneste. Una profonda ammirazione ha dettato le parole commosse del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Magistrato di altissimo valore, impegnato per l’affermazione della supremazia e del rispetto della legge, che ha servito con fedeltà la Repubblica”. Gherardo Colombo che a quel trionfo della Giustizia partecipò da co-protagonista, ha così commemorato il suo amico: “Abbiamo lavorato tanto assieme, incarnava perfettamente l’idea del magistrato che svolge il suo lavoro nell’interesse di tutti, era una persona eccezionale”.
Francesco Saverio Borrelli è stato il protagonista indiscusso di una strenua, indomita, coraggiosa battaglia contro la corruzione dilagante nella politica italiana, contro tutto il marcio che opprime e schiavizza le Istituzioni costringendole alla putrefazione.
È vero che ogni seria attività di pulizia ci consegna ad una triste verità: sotto allo sporco, si nasconde altro sporco. Ma, oggi come mai, le parole che Borrelli pronunciò all’apertura dell’anno giudiziario, nel suo discorso del 12 gennaio 2002, ci risuonino fiere nella mente e nel cuore: “Resistere, resistere, resistere: come su una irrinunciabile linea del Piave”.
Un altro falso eroe, servo funzionale per quello che fu un colpo di stato non militare.
I momenti bui della giustizia italiana sono la logica conseguenza di un istituzione eccessivamente autoreferenziale e strumentale. Gli ultimi anni della nostra storia politica ne sono testimonianza.
Purtroppo si continua a parlare sempre di coloro che passano sotto i riflettori del media televisivo, tralasciando, magari, storie di giudici e uomini più liberi e autentici ma che, proprio per questo, sono meno “cool” da raccontare.
Caro lettore,
In primo luogo colgo l’occasione per ringraziarla del commento. Ogni opinione, che sia libero e pieno esercizio di spirito critico, stimola il ragionamento e vivifica il dialogo.
Provo a risponderle.
Lei assume, in base a premesse indimostrate, conclusioni fine a se stesse.
Mi dice che Mani Pulite è stato un colpo di Stato: davvero crede che condannare chi ha intascato tangenti, servendosi del prestigio proprio delle più alte cariche istituzionali, sia un colpo di Stato?
Ogni asserzione non vive di vita propria sganciata dalla definizione di ciò che le dà fondamento. Cerchi sui manuali giuridico-penali, consulti il codice, legga la trattatistica italiana (una delle più illuminate al livello mondiale) e troverà che un colpo di stato è sì un rovesciamento del potere politico costituito, ma solo nel caso in cui avvenga con l’uso della violenza militare (come lei pure accenna) o, in ogni caso, con metodi illegali. Ora, ritorno a chiederle, è illegale consegnare alla Giustizia chi si è macchiato di corruzione ed è stato condannato con sentenza passata in giudicato (formale e sostanziale) in base ad un “giusto processo” ex. 111,2 Cost.?
In ultima analisi, dovremmo pure accordarci su cosa significhi essere “cool”. Un maccheronico “figo”, potrebbe trovarci concordi? Mi dica: ha trovato figo Tangentopoli? Ha trovato figo Calciopoli? E che dire delle Brigate Rosse?
Oppure forse è convinto che Calciopoli, Tangentopoli e Br, siano solo frutto di invenzione massmediatica che oscura “storie di giudici e uomini più liberi e autentici”?
Io sono un lettore e scrivo commenti non confutazioni articolate. Non cerco lo scontro ma stimolo un pensirero alternativo e un poco più libero da quello imposto sin dal dopoguerra dalla sinistra italiana.
La mia critica, semmai, verte maggiormente sul paradigma culturale sul quale lei fonda la sua cultura. Altro che fonti normative, capisce ora?
Io sono uno che firma ciò che pubblica e perciò confuto commenti, anche quelli che non ne abbisognerebbero perché fondati su verità metafisiche e indimostrate.
Cosa le fa immaginare che io non capisca? Chi o cosa l’autorizza a presumere che il suo paradigma culturale sia più attendibile del mio? Così parlò Zarathustra…
Buona giornata