
L’azienda “Racconti di grano”, su idea della dottoressa Rana, mette a disposizione le sue competenze per la riscoperta del rituale antico della panificazione
Vere artiste erano, le mamme di una volta. Tutte. Dalle loro laboriose mani, deformate dalla fatica e dall’artrosi, nascevano dei capolavori. Commestibili. Gigantesche pagnotte, il cui profumo inondava le bianche strade, dall’aria incontaminata, ricoperte di sassi o di basole calcaree, animate di bambini scorrazzanti, casalinghe indaffarate, arrotini ambulanti, carrettini di frutta, riparatori di piatti, saltimbanchi, biciclette e… galline.
Erano corazzate, le pagnotte, da una spessa crosta, croccante, ricoperta da una nuvola di sfumature castane, screziate di oro. Nutrienti. Soffici… per oltre una settimana. Le cui gustosissime fette carnose venivano divorate rapacemente quando si sposavano con melanzane sott’olio, composta di poponi, cipolla, pomodori, fichi, uva, fette di melone giallo.
Le donne si levavano pazientemente dal letto cigolante, prima che i raggi del sole si riverberassero sui vetri dell’angusta cucina-stanza da pranzo, e iniziavano la lunga e faticosa giornata di lavoro sotto il cono di luce tremolante dell’unica lampadina che illuminava l’ampio spianatoio di legno. Nell’attigua stanza da letto, i bambini sognavano Biancaneve o fremevano per Cappuccetto rosso, mentre mariti e i figli grandicelli mettevano il basto ai muli, alimentavano il fuoco con il mantice o recidevano con la sega fibre del legno.
La nobile arte della panificazione casalinga, cullata per secoli tra pareti scalcinate, è stata tramandata per generazioni alle “figlie femmine”, da quando nella lontana Palestina furono rinvenute delle spighe di grano, i cui chicchi non si perdevano nel terreno al primo flebile alito di vento. Gelosamente custodita, quasi inalterata, è pervenuta fino ai primi vagiti degli anni sessanta, quando in Italia si gridò al boom economico, e sembrò un’emancipazione sociale e di genere rinunciare per sempre all’arte del pane.
Fasciata la testa con un fazzoletto annodato sulla nuca, ed indossato un grembiule ricamato personalmente a punto e croce, tua madre era pronta a dialogare amabilmente con la pasta, come faceva con i figli e le vicine. Un clima di empatia e complicità. La farina, bastevole per l’impasto, prelevata da un enorme sacco, veniva versata sul tavoliere, al centro del quale, come da una faglia, spuntava un innocuo cratere vulcanico polverulento. Acqua tiepida, in cui era stato sciolto lievito madre, veniva versata gradualmente al centro della fontana dalle ripide pareti bianche. Per ultimo, s’incorporava il sale che non doveva entrare direttamente a contatto con il “crescente”, per non compromettere la lievitazione.
I palmi delle mani con le dita contratte ed i pollici incrociati spingevano in avanti la massa che gradualmente cedeva alle sollecite lusinghe. La distendevano e la riavvolgevano su se stessa ripetutamente, con movimenti decisi, delicati ed armoniosi, portandola ad assumere la forma di una morbida palla ovale, con una piega nel mezzo.
Quando le mani avvertivano finalmente che ogni resistenza si era dileguata, e l’impasto si presentava gradevole al tatto, lo lasciavano lievitare fino all’arrivo del fornaio che, su una bicicletta senza freni con un’asse di legno caracollante sulla spalla, miracolosamente raggiungeva il forno a legna dalle pareti incrostate di nera fuliggine. Una festa attendeva il ritorno delle pagnotte, e gli avventori, piccoli e grandi staccavano brutalmente con le mani lembi del pane ancora caldo e fumante.
Ringrazi di cuore, dentro di te, Angelo, titolare emerito del panificio “Racconti di grano”, di Bisceglie, che, con la dimostrazione pratica ha evocato appassionati ricordi e sapori d’infanzia.
Assiepate intorno a lui, dalla folta capigliatura screziata, una ventina di giovani donne e belle fanciulle, accorse per riappropriarsi della nobile arte della panificazione, seguono con viva attenzione le operazioni di impasto e tempestano di domande. Le risposte del padre e del giovane figlio, Carlo, alto, bello, dal sorriso sincero vengono rese narrativamente.
Fino agli inizi degli anni settanta, le farine, venivamo ottenute da grani coltivati nel territorio. La molitura, nella granulometria 1 e 2, avveniva in mulini a pietra, che non le riscaldavano. Erano, tutte buone, le farine antiche. Nutrienti. Digeribili. “Era un piacere” lavorarle”, mentre con lo sguardo abbraccia tutte le presenti, commenta Angelo. All’epoca un bel giovane dai capelli biondi e gli occhi chiari che fecero innamorare la signora Lucia, una bella donna dalla pelle giovanile
In quel periodo, nacquero le farine moderne, deprivate del germe per poterle conservare illimitatamente. Potenziate nel glutine, per favorire la rapida lievitazione. Carenti dello strato aleuronico, contenente sali minerali e vitamine. Irrorate di diserbanti. Conseguentemente, risultavano impoverite sul piano nutrizionale, meno digeribili ed incrementavano il tasso di intolleranza. La spietata logica del mercato imponeva i suoi diktat, ed ai consumatori, ignari, toccava subirne le nefaste conseguenze, penalizzanti nutrizione, gusto, profumo, salute ed… ambiente.
Effluvi di profumi volteggiano nel laboratorio. Sulle mensole, focacce incastonate di pomodori, dilatano le tue narici, ma è il giorno in cui hai deciso di digiunare per ragioni salutistiche, quindi le riconduci all’ordine. Due voluminose impastatrici moderne si godono, beate, il meritato riposo, dopo la fatica della notte precedente. Sul lungo tavolo di acciaio inossidabile, troneggia un impasto grande come una ruota di bicicletta. Angelo, il cui viso splende di una gioia contagiosa, ne trancia dei lembi e forma delle “schiacciate”, seguendo una ricetta fornitagli da uno sfollato dell’ultimo terremoto, al quale aveva offerto momentanea ospitalità.
La fragranza delle croccanti “schiacciate”, condite con sale ed olio extravergine, mette in fibrillazione le papille gustative di tutti i partecipanti alla bella dimostrazione, ed anche tu cedi, senza sentirti in colpa, alla gentile offerta dei due panificatori. Che, nel tempo, hanno avuto mille occasioni per far soldi, ma, offrendo prodotti di alta qualità, non hanno mai voluto rinunciare al privilegio di guardare dignitosamente negli occhi i loro clienti.
La bella iniziativa, promossa dalla pediatra Pierangela Rana e dalla ditta “Racconti di grano”, meritevole di replicarsi su tutto il territorio nazionale, volge al termine, sotto gli sguardi compiaciuti delle ospiti, alle quali viene offerto un pacco di farina integrale e l’opuscoletto “Sapori d’infanzia”, che apre squarci di quieta meditazione sul passato, calpestato nel suo insieme, nel nome di una modernità, che agli occhi della gente semplice oggi non fa fremere di soddisfazione.
Anna, una brunetta dagli occhi splendenti, si fa coraggio: “Quando la competenza si sposa con l’onestà e la generosità, si risveglia lo spirito, rinasce la comunicazione sincera tra le persone e si riaccende l’auspicio che un fremito di speranza animi il mondo.” Le parole, nate dal cuore, e l’applauso scrosciante commuovono i due protagonisti. Persone normali. Speciali.
Il ruscello di poesia sarà custodito nell’anima di tutti, ora tocca…affrontare a malincuore i miasmi della contaminata strada trafficatissima di autovetture che vagano sconsideratamente.