La vita è un pozzo delle meraviglie, c’è dentro di tutto, stracci, brillanti, coltellate in gola

La vita è un pozzo delle meraviglie, c’è dentro di tutto, stracci, brillanti, coltellate in gola

(G. Scerbanenco)

Il noir è un genere che può sembrare sempre uguale a se stesso ma che, invece, segue intimamente la rotta del mondo in cui viviamo. Noir come nero, noir come i romanzi di Raymond Chandler, Stephen Crane, Cornell Woolrich, scrittori che nell’America degli Anni Trenta infrangono sogni col pugno duro della realtà. Il noir fotografa il mondo nei suoi aspetti più duri, più disperati, stringendo un patto di sangue con i lettori che sanno di non potersi aspettare il lieto fine. Facile capire come i pochi tentativi nostrani di trattare il genere (come quelli di Augusto De Angelis con la serie de Il commissario De Vincenzi) svaniscano per colpa della censura fascista, come se il noir fosse una pianta esotica, troppo delicata e pericolosa.

Però, poi, negli anni Sessanta tutto cambia. Il noir fiorisce nero e tagliente, grazie alla voce di Ornella Vanoni che canta “M’ami”, grazie alla mala milanese sbruffona e provinciale del periodo, ma soprattutto grazie ai racconti di Giorgio Scerbanenco.

Ha un cognome difficile da pronunciare, S C E R B A N E N C O, si sente che è russo, anzi è un esule ucraino sempre in fuga come i protagonisti del noir. La sua corsa passa attraverso la macchina da scrivere che è anche un bastone da rabdomante. Come gli scrittori americani, lui per primo capisce e descrive la società che lo circonda, ricorrendo ad invenzioni lessicali, neologismi del tipo ‘jamesbonderia’ o ‘giocastroso’. Nei suoi moltissimi racconti svela, senza giri di parole, l’altra faccia di un’Italia che sembra felice e spensierata, invece si scopre sporca e ossessionata dal denaro, attraversata da una violenza esplosiva, quella delle prime pagine dei giornali, delle rapine di Luciano Lutring, il solista del mitra, e della sanguinosa banda Cavallero.

I personaggi di Scerbanenco sparano come gangster di Chicago ma lo fanno in Piazza Duomo, si dilettano nello shopping in via Manzoni con la calibro 9 e poi vanno a cena da Biffi, a volte pagando anche il conto. Sono i primi vagiti degli anni di piombo, dei sequestri, delle stragi, come dirà dopo il famoso profeta della Città, Achille Serra, “Milano era diventata una sorta di laboratorio criminale e Scerbanenco lo intuisce subito. Perché Milano aveva molte anime, positive e negative. È certamente più cupa di Roma, più egocentrica di Napoli, più disperata di tutte.

E proprio come in un romanzo noir, il fato vuole che Giorgio Scerbanenco muoia non appena raggiunto il successo, lasciando il vuoto dietro di lui.

La strada del noir non è fatta di mattoni dorati come quella di Oz, è buia, contorta, priva di segnali che indichino la direzione giusta. Perché nonostante tutto, il genere viene ancora visto con sospetto dagli editori italiani che preferiscono tradurre bestsellers stranieri , ma non è un caso che il noir abbia spesso vita difficile. Forse accade perché da noi c’è sempre il sole o forse perché viviamo il lato oscuro del nostro Paese, un Paese capace di miopie e bellezze, di gente che scappa e di gente che cerca di scrivere, quotidianamente, il proprio lieto fine.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.