«Ma quell’altro magnanimo, a cui posta 
restato m’era, non mutò aspetto, 
né mosse collo, né piegò sua costa»

(Inferno, X, vv.73-75)

Siamo ancora nella città di Dite per uno degli incontri più famosi di tutta la Divina Commedia, quello fra Dante e Farinata degli Uberti, brevemente interrotto dal fulmineo intermezzo di Cavalcante dei Cavalcanti, padre del poeta Guido, il fraterno amico di Dante.

È Farinata il grande protagonista, che si leva dalla tomba «da la cintola in sù» e col solo mezzobusto sembra sovrastare i suoi interlocutori. Dante e Farinata furono accaniti avversari, ma non li si può definire nemici. Dante ha, infatti, rispetto per la statura morale del fiero Ghibellino: lo dipinge con tale ammirazione che sembra quasi che le sofferenze dell’Inferno intero non lo sfiorino, tanto ha sprezzo per ciò che gli sta intorno.

Non appena i due giungono a contatto, Farinata riconosce il parlare «onesto» di Dante, il suo accento «Tosco», e gli chiede gentilmente di sostare un poco. Domanda anche chi siano i suoi avi e, udita la risposta, dichiara con forza che furono suoi acerrimi antagonisti, al punto che per ben due volte li scacciò da Firenze. Qui Dante, dimentico delle raccomandazioni di Virgilio, abbandona ogni esitazione e, ancora una volta, tira fuori il suo spirito fumantino. Controbatte: se i miei furono esiliati per due volte, in entrambi i casi rientrarono in città; i tuoi, invece, sono ancora raminghi.

La spigolosità di questa risposta è subitaneamente sospesa dalle parole che Dante rivolge a Cavalcante: questi gli chiede come mai il figlio Guido non sia con lui e il poeta risponde che, se a lui è toccato quel viaggio, non è perché sia più meritevole dell’amico, anzi, lui non è affatto lì per meriti propri: «Da me stesso non vegno» (v.61).

L’intervallo creato da Cavalcante, che fraintende la risposta di Dante e scompare fulminato dal pensiero che il figlio sia già morto, è ignorato da Farinata:

«Ma quell’altro magnanimo, a cui posta
restato m’era, non mutò aspetto,
né mosse collo, né piegò sua costa»

(Inferno, X, vv.73-75).

Farinata riprende, quindi, e replica a Dante che apprendere che i suoi sono ancora esiliati da Firenze lo affligge molto più che le stesse pene infernali, ma restituisce la stoccata con una profezia post eventum (la tecnica a cui nel poema si ricorre per annunciare come evento futuro un fatto che in realtà si è già compiuto): non saranno passati più di quattro anni che anche Dante, ora così sfrontato, conoscerà la pena dell’esilio…

I due continuano ricordando i reciproci spargimenti di sangue fraterno tanto che, nella battaglia di Montaperti, il fiume Arbia divenne rosso di sangue e qui Dante riconosce ancora una volta la grandezza di Farinata: pur vincitore, fu il solo della sua parte ad opporsi alla distruzione della diletta Firenze. Decisamente un avversario irriducibile: ma non un nemico. Chissà quanto avrebbero da insegnare, Dante e Farinata, a quanti tra noi si squartano per molto meno.

È il tempo di riprendere il viaggio e Dante rivolge al concittadino un’ultima domanda: chi altri è punito come lui nel cerchio degli eretici?

«Dissemi: “Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ’l secondo Federico,
e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio”»

(Inferno, X, vv.118-120).

La grandezza di Dante, la sua capacità di precorrere i tempi pur restando figlio del proprio tempo: se, all’epoca, poteva sembrare scontato considerare eretica una mente cosmopolita e multiculturale come quella di Federico II, la stessa che oggi ammiriamo, molto più strano doveva risuonare, all’Inferno, il nome del cardinale Ottavio degli Ubaldini, fiorentino e ghibellino anche lui, noto per la sua vita frivola, gaudente e spregiudicata.

Mettere un cardinale all’Inferno: questo sì che significava farsi un nemico, specie se si si era esuli e bisognosi di ospitalità, come lo era Dante con tutta la sua famiglia. Ma non tutti meritano il rispetto di Farinata e non tutti hanno il coraggio di Dante.

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FontePixabay rivisitato da Eich
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. LVIII 24/11/496-19/11/498

    Anastasio II (1)

    Costantinopoli contava eccome!
    Tenerla sì distante sconveniva
    e l’Anastasio un corridore (2) apriva
    per addolcire le fattezze indome

    di quell’Acacio Imperator carisma
    che nulla aveva contro Chiesa e clero
    ma di pensiero forte sì, austero
    per essere coinvolto in uno scisma.

    Si mise contro tutto il clero in massa:
    fu definito senza nerbo e palle
    il Papa che chinava insiem la groppa

    e al buco nei rapporti, con la toppa,
    metteva infine calma a quelle falle
    per aver più pescato nella nassa?

    1) Anastasio II (Roma, … – 19 novembre 498), è stato il 50º papa della Chiesa cattolica; 2) Corridoio
    Mi è piaciuto assai l’articolo e ho pensato di allegare un mio sonetto, facente parte del mio libro, non ancora edito, sui 276 Papi. Salvatore Memeo.

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