Entro quali confini i cittadini sono “liberi”? Tra “pubblico interesse” e diritto del singolo.

Entro quali confini i cittadini sono “liberi”? Tra “pubblico interesse” e diritto del singolo.

Autonomia o no? Vi siete mai chiesti perché il Comune possa ordinare l’esproprio di vostri beni immobili senza giustificate ragioni? O perché la Regione ordini, all’improvviso, lo scioglimento di una vostra manifestazione perché “non riconosciuta”? E, ancora, perché la Provincia abbia interesse a diffidare dalla demolizione di un muro pericolante o di un edificio abusivo?

Il più delle volte, sentirete ringhiare contro i vostri volti (comprensibilmente disperati) parole astratte come “ragioni di pubblica utilità” o “motivi del pubblico interesse”. Che significa?

Il “pubblico interesse” è forse una motivazione ragionevole perché un contadino, povero ma laborioso, ottenga un avaro indennizzo contro l’esproprio di un suo piccolo podere, ottenuto in cambio di lunghissimi anni di fatica e unica sua fonte di ricchezza?

La P.A. (pubblica amministrazione), machiavellicamente se preferite, non esiterà a favorire la “collettività”, che poi tanto astratta non lo è, rispetto al singolo.

Ciò che lascia spiazzati è che tali effetti sfavorevoli possano prodursi esclusivamente in forza dell’atto amministrativo, senza che abbia influenza il disaccordo del singolo privato né il suo eventuale e improbabilissimo accordo. Una forza e un potere disarmanti, insomma.

Tuttavia, è doveroso ammettere che la P.A. non solo, come ripetuto, produce effetti negativi per il singolo individuo nell’interesse dei tanti (si pensi al caso in cui il podere del contadino intralci una strada statale molto trafficata e con alto tasso di incidenti), ma anche che i poteri speciali ad essa riconosciuti possono svolgersi anche in favore dei privati.

L’atto amministrativo, invero, non è volto solo a togliere o a imporre qualcosa al destinatario, ma anche a consentirgli di tenere un comportamento che altrimenti non gli sarebbe permesso (si pensi alla licenza di commercio, al permesso edilizio, al porto d’armi e simili).

D’altra parte i cittadini non vivono in uno status giuridico di mera soggezione statale. Anzi, se la Pubblica Amministrazione nel dispiego delle sue attività è vincolata al perseguimento (quasi ossessivo) dei fini e degli interessi pubblici, i cittadini godono del principio dell’”autonomia privata”. In base ad esso, infatti, gli stessi possono produrre coi loro atti gli effetti giuridici che desiderano, nella misura in cui lo desiderano, e per i motivi che desiderano. Nulla, nel loro caso, può frapporsi al valore sacro e più volte consacrato della libertà privata (sempre che le loro azioni si svolgano entro i confini del lecito).

Diversa dall’autonomia privata, è la “discrezionalità amministrativa”: mentre i cittadini curano e gestiscono attività nei propri interessi, la pubblica amministrazione opera e lavora negli interessi a lei affidati dalla collettività.

Si spera di aver così chiarito il punto: per gli atti privati il “come” e il “perché” uno pervenga a determinate scelte non rilevano, per l’amministrazione entrambi i quesiti sono giuridicamente rilevanti. Non che il contadino faccia male a ribellarsi, sia chiaro, ma l’indisponibilità degli atti e dei poteri amministrativi all’esercizio dei privati può forse, ora, suonare meglio come un “paterno e benevolo no” al proprio figlio.