Un sodalizio artistico o, se volete, un legame amoroso, quello che unisce Giovanni Casamassima e Francesca Mansi.  Nell’ambito del Premio di Arte Salerno 2017, a Giovanni è stato assegnato un premio per “per la riflessione poetica del glorioso passato dell’Umanità”. Li abbiamo intervistati in coppia: così come vivono e lavorano…

L’arte dell’amore e l’amore dell’arte: Giovanni e Francesca. Un amore, il loro, mutuato nella direzione dell’infinito, venuto alla luce tra gli acquerelli di tele illibate e consumatosi tra macilenti affreschi che richiamano un passato tornato, prepotentemente, di moda. Pittori fiamminghi e spagnoli che, dal XVII secolo, arrivano all’anima moderna della percezione visiva, tratto implicito di radici a cui una giuria di esperti ha voluto assegnare un premio, vibrante escalation che, siamo sicuri, travolgerà anche i lettori di Odysseo.

Giovanni, di recente, nell’ambito del Premio di Arte Salerno 2017, ti è stato conferito dalla critica un riconoscimento “per la riflessione poetica del glorioso passato dell’Umanità”. I tuoi motivi compositivi sembrano richiamare proprio a nostalgiche memorie di tempi remoti. Come si può trasferire il senso estatico della pittura dell’epoca alla frenetica quotidianità moderna?

la pittura può avere ancora una funzione sociale, anche se sono cambiati i riferimenti storici. Deve essere ancorata al mondo della scuola e dei bambini e per poter avere una funzione deve essere percepita come uno strumento libero di visione del mondo. Noi pittori dovremmo agire, parlare con il futuro della popolazione, insinuare dei dubbi ed invitare  a riflettere.  La nostra idea di pittura cerca, attraverso simboli, di rievocare il ricordo e di conseguenza suscitare un sentimento, una emozione.

Giovanni e Francesca, posta in questo modo può sembrare un’omelia matrimoniale la mia, ma effettivamente il vostro legame sentimentale e artistico è nato nella bottega rinascimentale del maestro Carmine Conversano prima, e del noto Ciro Palumbo poi. Quale valore danno i vostri soggetti naturalistici e mitologici alla simbologia allegorica?

Giovanni: La pittura è sempre stata per noi un’ossessione, un’esigenza.  Entrambi abbiamo iniziato a dipingere molto presto. La scintilla è scoccata quando durante una mostra abbiamo notato le tele del maestro Carmine e da quel momento abbiamo deciso di frequentare la sua bottega. Per quanto riguarda i nostri soggetti siamo alla ricerca dei canoni di bellezza classica che possono essere le statue dell’antica Grecia o semplici nature morte che cerchiamo di rappresentare in chiave moderna.  Con i nostri quadri vogliamo creare un dialogo capace di rinnovarsi ad ogni sguardo, ad ogni vista, un dialogo che diventa “viaggio di scoperta” verso uno spazio che è. al tempo stesso, circoscritto e meravigliosamente infinito… la persona. Le emozioni di un momento, grazie alla pittura, non vengono congelate ma restano vive in eterno per essere “in viaggio (di nuovo)”.

Le vostre opere si differenziano per le dimensioni; le tele “ad ampio respiro” di Francesca offrono una visione diversa dalla minuziosa ricerca di particolari evidente nelle piccole raffigurazioni di Giovanni. Cosa accomuna questo dialogo di stili, apparentemente, agli antipodi?

Francesca: Si è vero io cerco di rappresentare la mia realtà con opere molto grandi perchè all’interno del quadro voglio trovare la mia libertà mentre Giovanni crea delle piccole opere che attirano lo sguardo e cercano di trasmettere emozioni. Ci accomuna la stessa qualità pittorica avendo avuto gli stessi maestri. E’ molto importante anche il confronto reciproco sia prima di iniziare un’opera che durante la sua esecuzione.

Giovanni, secondo alcuni critici, le tue riproduzioni sembrano sconfinare nelle rappresentazioni teatrali. Alla luce della tua esperienza, la creatività la definisci come pura finzione o romanzata realtà?

Giovanni: Si, attraverso la mia pittura cerco di creare delle composizioni o delle visioni che sembrano teatrali. Gli oggetti, i frutti diventano i protagonisti di una scena, anche il modo in cui utilizzo le luci è fondamentale. Le statue antiche cerco di comporle con strutture rigorosamente equilibrate, dove le immagini si traducono in allegorie dell’assenza e del silenzio e quindi di romanzata realtà.

I vostri quadri hanno una definizione quasi perfetta, almeno a un primo approccio: vi ritenete un’artisti esclusivamente figurativi?

Giovanni: Il figurativo fa parte del nostro Dna, ma non abbiamo preclusioni nei confronti dell’astratto e comunque nelle nostre opere c’è molto simbolismo. Io cerco l’astrazione della linea, l’oggetto che rimanda a significati inconsci e nascosti. In alcuni quadri associo alla composizione classica, alcuni particolari astratti cercando di creare un dialogo, come ho fatto nell’opera “Il sogno di Venere”, scelta dai critici di Arte Salerno per la sua statuaria bellezza e modernità

Cosa faranno da grandi Giovanni e Francesca?

Francesca: Stiamo lavorando molto, ed essendo dei perfezionisti  impieghiamo molto tempo per terminare un quadro. L’affermazione al concorso e l’aver conosciuto  il gallerista Armando Principe e sua moglie Veronica Nicoli ha fatto si che nascessero nuove collaborazioni e nuovi stimoli. Di certo continueremo sulla nostra strada, cercando sempre nuove sollecitazioni.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.