“Arrivederci fratello mare”

(N. Hikmet)

Arrivederci, fratello mare. Grazie delle tue aperture. Grazie dei tuoi sconfinamenti, perché ispirano protezione. Grazie dei tuoi cambiamenti, perché sfidano i nostri timori e le nostre remore. Grazie dei tuoi silenzi che, in mezzo all’ansia di definire ogni cosa e alla cattiva abitudine di mettere bocca ovunque e comunque, curano l’anima come niente al mondo. Grazie delle tue ribellioni e delle tue onde, che ci hanno ammaestrato ancora una volta sull’impossibilità di risolvere i problemi restando fermi e quieti. Grazie del tuo rumore bianco, una perla in mezzo al chiasso insostenibile e al chiacchiericcio sibilante e velenoso di noi esseri umani.

Arrivederci, fratelli venti, che vi alternate su fratello mare senza scavalcarvi e che certe volte, addirittura, coesistete, così diversi, così accoglienti l’uno verso l’immensa diversità dell’altro. Uno porta a riva alghe e immondizie e ci ricorda quanta pulizia abbiamo ancora da fare, fuori e dentro. L’altro il giorno dopo ripulisce tutto, dimostrandoci che la limpidezza è un lavoro possibile, non una dote innata.

Arrivederci, sorelle meduse, che ci avete chiesto più volte di fare un passo indietro per lasciarvi spazio. Perché coesistere con voi è difficile. E quando è così occorre fermarsi, tornare al proprio posto e lasciare che tutto scorra. Anziché lamentarsi di essere stati punti. Anziché armarsi, darvi la caccia, trasformarvi in un gioco e lasciare le vostre carcasse sulla riva, come un campo di battaglia in cui ha vinto non il più forte, ma il più violento. Che poi, ovviamente, sa fare la vittima meglio di tutti. Perdonateci: noi la guerra ce l’abbiamo dentro. E preferiamo, anche tra di noi, annichilire ed eliminare quello che secondo noi è pericoloso e fastidioso, solo perché non entra nei nostri schemi, solo perché mette in crisi le nostre comode piccolezze.

Arrivederci, sorella sabbia, che accogli tutti con pazienza, che ti sgretoli tra le mani eppure mantieni la tua compattezza. E lasci il segno e ci perseguiti fino a casa, fino a dopo la doccia, perché non è facile levarti dai piedi e dalle scarpe. No, non si può pretendere di entrare e uscire, dai luoghi e dai cuori, senza contaminarsi, senza sporcarsi di quello che l’altro è e non è, senza portarsi tracce. Non ci si pulisce fino in fondo dell’altro, per questo è bene lasciare il segno, ma senza sporcare, senza compromettere, senza invadere.

Arrivederci, insomma, compagni di questo ennesimo esodo, che in quella sua origine greca, ekodòs, suggerisce ciò che realmente una vacanza è: un’uscita di strada, un allontanarsi dalle vie solite per tentare di trovare in quelle insolite riposo e leggerezza. Ma questo è difficile, molto più difficile del rientro, del contro-esodo, allo scoccare inesorabile dell’ora del rientro. Perché l’uscita dalla comfort zone e l’incontro con il diverso, l’inedito, l’unico, l’irripetibile risulta sfidante per tutti. E noi non abbiamo sempre il coraggio di fratello mare o vento, di sorella medusa o sabbia.