Ri-entrare è un atto di coraggio
Si è parlato molto e in modo variegato di rientro dalle vacanze: code sulle autostrade; nuovi protocolli anti-Covid; fine dello smart-working; previsioni sugli scenari agricoli e paesaggistici in tempi di siccità; ipotesi di risparmio energetico per il prossimo autunno; campagna elettorale; ma soprattutto ansia e depressione da ritorno al lavoro. Molti psicologi stanno mettendo a disposizione sui social consigli utili e anche qualche meme divertente per affrontare questo passo, perché quest’anno sembra più difficile. È come se le vacanze non ci fossero bastate, è come se non avessimo mai staccato fino in fondo, fatto largo, spazio, vuoto per rinnovare davvero noi stessi. Perché?
Forse siamo semplicemente avvolti da una spirale malsana, in cui la comunicazione mediatica non aiuta: perseguitati da notizie negative, malcontenti, incertezze, previsioni nefaste, da dove possiamo trarre la forza per lasciare il mare o la montagna, gli affetti, i tempi lenti e distesi, i sapori, i tramonti…e rientrare a casa? E incalzati (già alla prima settimana di settembre!) da decine di e-mail, come possiamo pensare di sentirci pronti e sereni? Si, rientrare dalle vacanze di questi tempi può essere più arduo che mai.
Ri-entrare è sempre un atto di coraggio, perché implica il movimento di ritorno ad uno spazio interno o addirittura interiore, al sé. E ri-entrare a casa non è da meno: chiede di fare i conti con le cose lasciate in sospeso (notoriamente rimandate “a settembre”) con la solita routine, con la polvere accumulata sui mobili mentre eravamo via, con le piante ritrovate sofferenti o stecchite sul balcone, con quella conserva dimenticata aperta prima di partire e adesso ammuffita, con il pacco della pasta lasciato smezzato che ha fatto i vermi, con la cassetta delle lettere intasata, con quell’angolo di soggiorno da riorganizzare e i bagagli vuoti da riporre (di già…?!). Con tante cose. Ri-entrare è difficile.
A meno che, ripulendo qua e là, svuotando le valigie, qualcosa non ci venga timidamente incontro a ricordarci che non tutto è perduto. È quel cumulo di sabbia annidato in fondo alla borsa del mare o al tappetino dell’auto, residui dell’ultimo bagno che non andranno via facilmente. O magari la conchiglia, raccolta tra il desiderio di avere un ricordo e il senso di colpa per l’ecosistema. Forse la risposta è in quei granelli di sabbia impercettibili, incollati caparbiamente al presente e al suo tedio, a ricordarci che le cose belle sono passate velocemente, ma non inesorabilmente. O in quella conchiglia arrivata fino a noi dopo lunghe peregrinazioni tra le tempeste, scorticata e fiera come i nostri cuori già stanchi, ma sempre capaci di farcela, poiché custodi di tesori e portatori sani di mareggiate violente e salvifiche.
Adesso nuove sfide e vecchie responsabilità ci sballottano allo stesso modo, ma dobbiamo trovare la forza di resistere e la motivazione per ri-esistere. E dobbiamo farlo a partire dalle cose mute, piccole e testarde, microcosmi di significati che di certo non risolveranno i nostri problemi, ma cambieranno la narrazione del presente, il suo tono, i suoi colori, la sua trama e il suo finale. Non è molto, non è granché, ma se pensiamo al lungo viaggio della conchiglia o alla storia della sabbia può essere qualcosa e può essere tutto. Buon ri-entro, allora. E buona ricerca di ciò che è ri-masto, quasi per caso sparso per casa, a ricordarci che siamo molto più forti di ciò che pensiamo e immaginiamo. Una poesia di Nazim Hikmet fa al caso nostro:
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
La cosa più bella quando leggi un articolo o una pagina di giornale è il coinvolgimento emotivo che trasmette chi scrive. Grandeeee!