“Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”: Albert Einstein
L’apicoltura sta diventando, sempre di più, una tecnica utilizzata per favorire non solo il sostentamento di giovani imprenditori che si cimentano in questo business, ma anche per restituire equilibrio e naturalità ad appezzamenti di terreno ormai contaminati da elementi inquinanti e nocivi. Tra questi spiccano, in maniera esponenziale, pesticidi il cui abuso è al centro di polemiche e disagi. Colpiti profondamente dall’annosa tematica, ci siamo sentiti chiamati in causa dalle campagne che tanto amiamo, dall’humus che ha reso fertili le vecchie tradizioni, quelle dei nostri nonni che, con la spalla china, adombravano distese di pomodori e oceani di vigneti, uomini di classe impregnati di umiltà e sudore, padri a contatto con un paesaggio vergine di interessi economici, mariti che facevano del biologico uno stile di vita sano e costruttivo. Oggi, l’innovazione tecnologica ha privilegiato la quantità ai danni di prodotti qualitativamente più salutari, e i grandi marchi si sono svenduti a logiche commerciali di cibi alterati chimicamente, alimenti ritenuti causa di effetti cancerogeni, pietanze irrispettose del nostro passato.
Abbiamo deciso, pertanto, di dirimere la questione sottolineando l’importanza della salvaguardia delle api per l’ecosistema globale.
Sicuramente l’uso massiccio di pesticidi nuoce gravemente al delicato mondo delle api. Per produrre un certo numero di barattoli di miele e pappa reale, infatti, c’è bisogno di decine di alveari e le api fungono meglio alla catena di montaggio se il contesto circostante è puro e illibato.
Una ricerca svolta dall’associazione UNAAPI ha stabilito che, a danneggiare profondamente le api, sono pesticidi come Dimetoato e Deltametrina utilizzati per gli ulivi, Clorpiriphos e Imidacloprid, insetticidi che ricoprono immensi vigneti, e il Tebuconazolo cosparso sui ciliegi. Non solo, piante come Ambrosia, Senecio e Ailanto, presenti anche nel Parco Nazionale d’Abruzzo, sono considerate infestanti e disturbatrici.
Negli ultimi tempi si è, scusate il gioco di parole, “radicata” l’ipotesi di una correlazione tra l’utilizzo dei pesticidi e la diffusione di cellule tumorali. Trattasi di suggestione o di teorie scientificamente provate? Andria docet, da questo punto di vista. Infatti, grazie alla competenza di appassionati apicoltori del posto, come i fratelli Vincenzo e Marilena Panarelli, e attraverso la decennale esperienza nel settore di Savino Petruzzelli si vuole sensibilizzare la comunità a mettere in pratica le fondatissime teorie dell’Oncologa ed Ematologa, Patrizia Gentilini, membro di ISDE e Medicina Democratica. La sua totale abnegazione a queste tematiche fornisce alla popolazione informazioni necessarie per evitare l’esposizione dei più giovani alle sostanze tossiche presenti nell’atmosfera, particelle cancerogene generate dai cosiddetti “veleni agricoli” di ultima generazione. Tali sostanze, chiamate “fitofarmaci”, comprendono diserbanti, fungicidi, agenti chimici utilizzati per difendere le colture da insetti, batteri, virus, acari e funghi. Sempre secondo la Dottoressa Gentilini, le conseguenze dell’esposizione a tali sostanze possono manifestarsi anche dopo molto tempo, sortendo effetti anche gravi su gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà.
Il rischio, in questi casi, è di curare la malattia attraverso “medicinali” che peggiorerebbero la situazione. Esistono, invece, rimedi naturali per ovviare all’increscioso problema. Si dovrebbe, innanzitutto, promuovere la biodiversità. Le nostre distese naturali, infatti, sono caratterizzate solo ed esclusivamente dalla presenza di vigneti e/o uliveti. Sarebbe opportuno, invece, alternare le varie coltivazioni, agevolando la differenziazione del raccolto e favorendo la fioritura di nuove specie vegetali, quale la Facelia, un fiore di colore viola pubblicizzato dalla Sis (Società italiana sementi), una nutriente pianta mellifera del cui polline le api vanno molto ghiotte.