“La logica del bene comune” presentata martedì scorso, a Taranto, a cura del Centro di Cultura per lo sviluppo “G. Lazzati”
Da più parti ultimamente viene sentita l’esigenza di governare con rinnovati strumenti i sempre più complessi fenomeni socio-economici in corso, come le logiche di mercato innescate in questi ultimi decenni dal cosiddetto turbo-capitalismo che ha creato, ancora una volta, l’illusione di avere al suo interno i mezzi quasi naturali per autoregolarsi; ma si sta rivelando un ‘capitalismo malato’ come ha diagnosticato recentemente l’economista indiano Raghuram Rajan che, pur provenendo dalla Scuola neoliberale di Chicago e dal FMI, ne ha individuato le cause ed ha indicato la necessità, insieme ad altri come Amartya Sen, di costruire dei ‘pilastri’ o ‘antidoti’ per correggerne le ricorrenti derive che stanno coinvolgendo più che mai l’intero pianeta. Ma basta lanciare uno sguardo critico alla storia del pensiero filosofico ed economico e ai suoi momenti costitutivi nel Settecento europeo per vedervi già presenti alcuni di questi ‘antidoti’, come l’idea di ‘economia civile’ lanciata dal filosofo, teologo e abate Antonio Genovesi (1713-1769), uno dei pensatori più originali e a largo spettro dell’intero panorama italiano; e nello stesso tempo è stato, come Adam Smith, uno dei fondatori della moderna scienza economica, con una prima cattedra in tale disciplina a livello europeo dal 1753 nel Regno di Napoli in pieno clima illuministico, periodo che viene ricordato a volte solo per l’avvento della Rivoluzione francese quando invece va ricordato per aver dato inizio ad una serie di riforme irreversibili di tipo sociale, politico, economico ed educativo per le quali lo stesso Genovesi per tutta la vita si era battuto.
Dopo la riedizione nel 2013 di Lezioni di Economia Civile (Milano, Vita e Pensiero), su iniziativa del Centro di Cultura per lo Sviluppo Sostenibile ‘G. Lazzati’ di Taranto e soprattutto dell’impegno ivi profuso dall’On. Domenico Maria Amalfitano, è continuata quella che si potrebbe considerare vera e propria Genovesi-Renaissance con la riproposta della versione critica e commentata, da parte di Riccardo Milano, di un’altra opera La Logica per i giovanetti; ma è doveroso tenere presente che già negli anni ’80 del secolo scorso l’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli, grazie al suo fondatore Gerardo Marotta, aveva dato inizio ad una ripresa di interesse per tale figura pubblicando alcuni scritti di natura economica. La Logica per i giovanetti, scritta nel 1765, è l’espressione più matura del pensiero di Genovesi e di quello che viene definito ‘illuminismo enciclopedico’ o ‘militante’ che lo ha caratterizzato in particolar modo dove è evidente il suo costante dialogo con i problemi della modernità, a partire dal ruolo giocato dalla scienza e dalla tecnica con i risvolti sociali ed economici connessi, aspetto questo che di fatto lo ha tenuto per molto tempo emarginato per la successiva egemonia della filosofia neo-idealistica; essa è contenuta nel volume dal significativo titolo La logica del bene comune. Coscienza, memoria, responsabilità, dialogo, (Verona, Gabrielli Editori 2020) con prefazione di Stefano Zamagni e contributi di Roberto Mancini, Francesca Dal Degan, Lucio D’Alessandro e Luigi Ricciardi, contributi che servono a chiarirne l’originalità e profondità teoretiche, il modo del tutto particolare di interpretare e di arricchire la ricca stagione illuministica coniugata col pensiero cristiano, la lungimiranza e l’attualità al di là dei pur importanti contributi dati alla nascente scienza economica per la prospettiva umanistica ad essa data grazie ad una pioneristica visione non riduzionistica della sua struttura. Ma è da sottolineare che questa operazione è una vera e propria impresa culturale, che ha coinvolto un gruppo di istituzioni per lo più del Meridione d’Italia come la Regione Campania, la Fondazione Banco di Napoli, la Banca Etica, l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, l’Università per la Pace delle Marche, la Caritas Campana, il Comune di Castiglione del Genovese ed il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima; questo non è solo indice di un modo concreto di fare sistema in un momento e luogo particolari e del fatto di celebrare solo un personaggio della cultura meridionale, ma indice di una nuova sensibilità dovuta alla presa di coscienza comune dell’urgenza di scelte da compiere di fronte a fenomeni da guidare con precisi orientamenti di fondo.
L’obiettivo della riproposta di tale opera è quello di offrire una visione d’insieme del pensiero di Genovesi che, come Gianbattista Vico, ha dedicato l’intera vita all’insegnamento con un progetto ed una strategia pedagogica rivolta in primis a formare i ‘giovanetti’, non solo nell’ambito delle competenze tecniche ma nel fornire loro gli strumenti per orientarsi nella vita e coltivare gli ideali di libertà, come sottolinea Zamagni, insieme con l’idea tipicamente illuministica che il sapere, la scienza e le arti se ben acquisite con la severa arte della logica o Logichetta, come viene chiamata, si trasformano in ‘bene comune’ per l’intera società con relativi benefici per tutti; i contributi sottolineano gli sforzi di Genovesi tesi ad una nuova paideia dove l’elemento primario è il superamento dell’idea cartesiana della neutralità della scienza rispetto ai comportamenti etici ed il conseguente stretto rapporto tra conoscenza e valori, in funzione del fatto che i ‘giovanetti’ e la società intera più conoscono, più si devono sentire responsabili nelle ‘scelte’ decisive per il futuro, più sono in grado di discernere il vero dal falso fatto ritenuto strategico per il vivere civile e per essere attivi protagonisti nella trasformazione sociale senza condizionamenti.
Nello stesso tempo viene sottolineato lo sguardo d’insieme che guida l’intero pensiero di Genovesi e la particolare visione cristiana del mondo di fondo che lo sorregge gli permette di essere ‘realista’, ‘enciclopedico’ e ‘amante del concreto’, dell’immanente e della vita, attento a non cadere in posizioni unilaterali grazie ad una coscienza epistemica non comune del fatto che ogni aspetto è ritenuto strettamente intrecciato ad altri; tale elemento essenziale a cui ogni autentico insegnamento deve mirare una volta compreso nel suo vero spessore insieme concettuale, attraverso la Logichetta, ed insieme esistenziale con lo sporcarsi le mani nelle “notizie del mondo” e nella rugosità del reale, permette di essere protagonisti del nuovo, di guardare al futuro e di contribuire alla crescita civile della comunità. Ed in tal senso va interpretata l’espressione ‘giovanetti’, cioè tutti coloro che forti di questo strumento logico-esistenziale diventano gli attori del cambiamento qualitativo di una società e delle sue strutture portanti, dove ad esempio parole come “prima io” o “prima noi” non devono essere preminenti in quanto vige l’idea di reciprocità, perché dice Genovesi, con parole che sembrano prese dal vocabolario odierno della complessità, “tutto è connesso in questo mondo; non ci è perciò cognizione di veruna cosa al mondo che non ci interessi”.
Questa idea tipicamente illuministica, anche se per varie ragioni non è stata declinata in tal modo, viene poi estesa ad ogni ambito, fa fatta capire a tutti e soprattutto praticata per il bene comune in quanto se bene metabolizzata a livello comunitario accresce il ‘dialogo’, la ‘responsabilità’ e la ‘reciprocità’ ingredienti necessari per il vivere civile e per un uso ragionevole delle risorse in campo; fa uscire la ragione umana e di conseguenza le scelte di vita sia sociale che individuale, a dirla con parole poi di Kant, dallo stato di minorità una volta però preso atto che non c’è una cosa “più ripiena di misteri quanto l’uomo” e soprattutto del fatto che “le cose di questo mondo sono infinite e infiniti ed infinitamente vari i loro rapporti e i fini” e “noi non ne sappiamo che pochissime in mezzo ad un gran buio”. La ricchezza e la rugosità del reale ci impone per Genovesi di uscire dall’ignoranza solo “per gradi e fino ad un certo segno” e nello stesso tempo ci preserva dal “più grande errore degli uomini [che] è il non voler persuadersi che la massima parte delle cose che si questionano sono al di là dei termini del nostro intelletto e che la nostra scienza non è scienza che di pochi fenomeni”. Ma al vaglio del “tribunale dell’intelletto” vanno passate tutte quelle posizioni che negano questo stato di cose, che cadono nell’illusione di avere a portata di mano soluzioni miracolistiche e che promettono “pubblica felicità”; in questa visione insieme autenticamente illuministica e cristiana di Genovesi non c’è spazio per visioni che tendono al perfettismo dell’uomo e ai conseguenti assoluti terrestri, a dirla con Dario Antiseri, che hanno devastato e continuano a devastare l’umanità in nome di idealità astratte. Per questo tali ‘falsi raziocini’ vanno curati confutandoli e tale fatto, che non è solo un’azione puramente logica, a volte per l’illuminista napoletano è “più necessario dell’affaticarsi dietro al discoprimento del vero. Perché gli uomini, dove non sieno agitati dal falso, hanno sempre bastante forza a vedere le più importanti verità; ma dove le falsità annebbiano la ragione umana, tutti gli sforzi per far amare la verità saranno inutili”.
Questo costante invito a coltivare umilmente la ragione con i suoi inevitabili errori, sia per avere una visione d’insieme dei problemi che una più retta comprensione della loro interconnessione, è il lascito educativo, teoretico, morale e politico di Genovesi, il cui illuminismo sui generis non poteva non fare riferimento alla situazione storica del suo tempo e del Regno di Napoli, bisognoso di riforme radicali per creare le condizioni di una società civile più matura; fare politica significa creare le condizioni per raggiungere tale stato di cose e nel farla gli stessi uomini si auto-educano, prendono coscienza dei problemi e delle scelte che impongono, si scontrano con i loro limiti nel prendere atto della complessità della vita, ma sempre avendo il coraggio di dire la verità di fronte alla gravità delle situazioni: “la Politica dee far uomini. Io non trovo in Italia filosofi che vi lavorino”. Genovesi invita, quindi, i ‘giovanetti’, cioè la società nel suo complesso, a ‘lavorare’ in tal senso e la sua Logichetta conserva tutta la sua attualità e forse ‘inattualità’ nell’indicarci una strada certamente impervia, una vera e propria cura delle patologie dell’uomo a partire da quella economicistica, in virtù del non riduzionismo messo in atto nel cogliere le diverse e articolate ‘notizie del mondo’ e visto come un rimedio razionale alle sue hybris di stampo unilaterale sempre ricorrenti.