“Bellezza sempre antica e sempre nuova”: la XIX Settimana di San Tommaso, a cura della Biblioteca diocesana di Andria, Azione Cattolica, MEIC, Forum di Formazione all’Impegno sociale e Politico

Nella prima serata, Antonia Chiara Scardicchio, docente di Pedagogia presso l’Università di Foggia, interviene sul tema “Fragile, maneggiare con cura. Benedire la vita nella sua imperfetta bellezza

Professoressa Chiara, per lei la bellezza è utopia, sogno…o reale possibilità per la nostra vita?

Dipende da come consideriamo la bellezza, dal nome che le diamo e se allora la bellezza coincide con l’assenza di limite, di fragilità, di dolore, di erranza, possiamo dire che nessun umano è destinato alla bellezza. Questa sembra una notizia disperante e disperata, perché siamo abituati a considerare un annuncio del genere come un annuncio funesto, quasi scabroso, ma in realtà è quello in cui tutti crediamo profondamente, cioè che non esista vita senza taglio o strappo e la sfida creativa che ci appartiene è di provare a considerare questa evidenza non come una risposta disperante e disperata, ma come il senso particolare, precipuo del nostro essere uomini, donne. Esiste una parte poderosa della nostra esistenza su cui noi non abbiamo potere; il limite legato a una malattia o ad un qualsiasi condizionamento è un limite rispetto al quale ci sentiamo “gettati” come diceva Heidegger, ma è vero anche che lo spazio più profondo e più potente della libertà che ci è possibile è quello che riposa dentro lo sguardo con cui noi ci posiamo al cospetto della fragilità. Questo sguardo coincide con la nostra modalità cognitiva ed emotiva consolidata, con la nostra narrazione quotidiana. Possiamo scegliere le parole con cui narrarci: questo potrebbe far pensare a un tentativo di illusione e manipolazione, ma, se letto dentro la specificità delle ricerche neuroscientifiche contemporanee, in particolare nell’orizzonte della prospettiva sistemica, scegliere le parole e narrarsi una storia (che è una storia di libertà anche nel limite e nel vincolo) significa compartecipare al reale. Illudersi sarebbe la forma di chi nega il dolore, di chi nega che la ferita lo stia straziando. È una forma distorta esattamente come quella opposta, la postura dell’impotente. Cosa possiamo fare dunque? Libertà, creatività, dimensione simbolica, capacitazione, per usare un’espressione a cui in questo momento la sociologia contemporanea sta dedicando le sue ricerche!

La fragilità è talvolta vista come debolezza di cui vergognarsi. Come può, invece, trasformarsi in risorsa, così che le ferite divengano feritoie di luce?

Occorre provare ad assumerci la responsabilità dell’autoconoscenza, della veglia sulle parole, sugli sguardi, sulle narrazioni, sulle posture che ci caratterizzano. È scegliere di assumere la nostra identità come compito, non solo come dato. La nostra identità non è un prodotto, un processo al quale ciascuno di noi può dedicarsi. L’educazione non riguarda solo gli altri che ci sono affidati, ma la presa in carico di noi stessi, dell’uomo e della donna che decidiamo di essere. Esercizio impegnativo, al quale non siamo abituati, perché la nostra esperienza scolastica, la nostra biografia di apprendimenti sovente è un’esperienza che non ci porta dentro la nostra coscienza, intesa come capacità di sguardo onesto, coraggioso, consapevole, su chi siamo, chi siamo stati fino ad ora e chi possiamo essere.

“La vita è come ce la raccontiamo…La strada verso ogni cambiamento passa allora attraverso il cambiamento delle nostre narrazioni quotidiane. Le parole creano mondi”. Queste tue affermazioni, per noi che siamo una Biblioteca a servizio della comunità, ci colpiscono. Esiste allora un potere così forte insito nelle parole?

Le parole creano mondi, gli esseri umani creano mondi, compartecipano alla creazione. Si tratta di mondi diabolici se desiderano essere alternativi alla realtà, ma che pienamente ricevono la bellezza della buona notizia cristiana quando si danno la forma che appartiene a Gesù ed alla sua esperienza, tanto storica che metastorica, ovvero la danza – per usare un’espressione di Gregory Bateson – il paso doble, tra morte e resurrezione, che possono coesistere nelle nostre vicende di ricerca personale.

Bellezza, fragilità, vita…c’è spazio per queste realtà nelle nostre comunità cristiane? Qual è il tuo sogno sulla Chiesa di oggi?

Sovente sostiamo a lungo o esclusivamente nella dimensione della morte, esaltando la croce come sacrificio in sé e non come potenzialità esplosiva o qualche volta indugiamo solo nella risurrezione, cercando una elezione che ci preservi da ogni male. L’identità cristiana, invece, è complessa: morte e resurrezione, strazio e bellezza, appartengono alla nostra natura, piena di Grazia, se si lascia invadere dall’annuncio rivoluzionario della salvezza. Cosi, mentre invochiamo dal Signore la salvezza, possiamo contemporaneamente cantargli l’alleluia e dirgli: “Signore, mi hai salvato!”.