
Una festa drammatica
Il Natale è arrivato, portandosi dietro la solita “ansia da prestazione” da regali. Centrare il regalo giusto non è mai semplice. Intanto, da tempo, sono iniziate le grandi manovre con stressanti “pellegrinaggi” tra i grandi centri commerciali: ma ha ancora senso chiamare il Natale col suo nome?
Se dovessimo pronunciarci, basandoci su ciò che vediamo, dovremmo dire, come scrive su “Avvenire” Maurizio Cecchetti, che il Natale è la festa del regalo, sperando che non si riduca a una sorta di pratica compulsiva, in cui ognuno fa a gara nel fare doni, sempre più esclusivi e abbondanti, a cui segue la grande “liturgia” dello scartare i pacchi e quindi riempirsi di cose superflue.
Natale: quale bisogno? Una festa non sarebbe tale senza regali…ovviamente in attesa di qualche contraccambio. Ma se quel do ut des può avere senso, in talune dinamiche economiche rappresenta, invece, la morte delle relazioni umane, familiari e sociali, perché la società e le nostre comunità hanno bisogno di abbracci e di baci: è un bisogno di tenerezza, alla ricerca di nuovo slancio per essere ammesso in un mondo dove “l’esibizionismo della forza” sembra avere la meglio sulla dolcezza del presepe. Ma esiste anche una interpretazione banale del Natale, che trasforma questa festa in una fiera di buoni sentimenti. È una lettura pervasiva dell’evento che anche le grandi organizzazioni benefiche, consapevolmente o meno, rischiano di alimentare, moltiplicando le iniziative e gli appelli. Attenzione: non si vuole guastare la festa a nessuno, né alzare il dito per giudicare, ma riteniamo che, in questo momento molto difficile che attraversa il Paese, converrebbe a tutti di fermarsi per riflettere. I mutamenti del contesto economico, sociale e politico dell’ultimo decennio, hanno avuto forti ripercussioni non positive che hanno inciso, profondamente, sulla cultura e sulla fiducia delle comunità anche ecclesiali.
“Arruolati” in una missione umanitaria, a Natale, sono in tanti: politici, giornalisti, preti, impiegati di concetto, operai, imprenditori e mafiosi compresi …tutta gente che, di conseguenza, si sente poi in pace con la propria coscienza e può così nutrire la sciocca convinzione di essersi guadagnata una fetta di paradiso o almeno di non rischiare più le fiamme dell’inferno.
Ma, una volta trascorso il Natale, si ritorna ad occuparsi dei soliti affari, delle carriere, dei successi, degli obiettivi programmatici e dei vari intrighi. Ai poveri e agli afflitti che, in questa terra amara dai mille volti e dai mille destini, sono sempre più in aumento, non ci si pensa più. Per il resto dell’anno verranno collocati, con un’attenta noncuranza, in uno scantinato, come si usa fare, una volta passate le feste, con il presepe e l’albero di Natale.
Il grido del povero è anche un grido di speranza, con cui manifesta la certezza di essere liberato. Ma è bene ricordare che la speranza non è la realizzazione di un desiderio, quanto di una sorpresa: un evento che accade e sblocca una situazione che sembra irrisolvibile …come i magi e i pastori, che si presentano presso un piccolo bambino adagiato in una mangiatoia. Nel buio delle paure e dei rapporti per interesse, abbiamo la possibilità di portare un po’ di affettuosa attenzione?
E il Natale di Gesù Cristo? Sì, i credenti celebrano una festa che attende un Salvatore. Ma se chiedessimo da che cosa dobbiamo essere salvati, forse faremmo fatica a dire qualcosa di diverso da guerre, dolori, violenza e malattie. In realtà, la “salvezza” è un principio radicale. Dice che questo mondo, così com’è, non va bene, non è il migliore dei mondi possibili. Eppure, ci accontentiamo. Crediamo che un po’ di felicità dia senso a una festa che, alla sua radice, celebra l’insufficienza umana, il destino oscuro di un mondo che non riconosce la sua debolezza, tanto da esaltare la forza per camuffare il suo essere: questa è una grande croce, e il Natale costituisce la festa che annuncia lo sradicamento di questa croce.
Natale è una festa drammatica: per loro non c’era posto nell’alloggio. Il Divino entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. In proposito, padre Turoldo scriveva che Dio si è fatto uomo per imparare a piangere e per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo: Gesù è il pianto di Dio fatto carne.
Tanti auguri per un Natale in cui continuano a sovrapporsi speranze e incertezze e dove ancora è difficile decifrare un futuro più vicino…