Intervista alla dott.ssa Milena di Nuzzo, neuropsicologa

Un incontro da ricordare. D’accordo, la facilità del gioco di parole travalica il banale confine dell’informazione, ma sabato 10 dicembre, presso il Chiostro San Francesco di Andria, importanti luminari hanno chiarito, attraverso competenti nozioni scientifiche, sintomi e conseguenze del morbo di Alzheimer. Tra questi, spicca la neuropsicologa Milena di Nuzzo, coordinatrice dello Sportello di Andria dell’Associazione Alzheimer Italia Bari. La passione con cui la di Nuzzo ci spiega i disagi derivanti dall’Alzheimer cambia radicalmente le prospettive su un tema molto frequente, ma poco conosciuto. La sua disamina ci conduce nei vasti meandri della mente umana, dandoci un quadro più dettagliato dei pericoli che incombono soprattutto in terza età, fascia particolare della vita, periodo durante il quale diventa fondamentale non restare soli o essere considerati dei vecchi soprabiti appesi ad un attaccapanni intriso di oblio e indifferenza.



Dottoressa di Nuzzo, da dov’è nata l’idea di istituire uno sportello informativo sull’Alzheimer ad Andria?

Lo sportello di Andria nasce nel 2012 con l’obiettivo di fornire informazioni e sostegno alle persone affette dalla malattia di Alzheimer e ai loro familiari. Lavorando a contatto con questo tipo di patologie ci si rende conto quanto questa sia una malattia che colpisce direttamente una persona ma indirettamente tutti coloro che la circondano, sovraccaricandoli improvvisamente di bisogni complessi, diversificati e molteplici a cui è difficile rispondere. Ecco perché lo sportello vuole essere un punto di riferimento per tutti coloro che necessitano di aiuto e che possono trovare un reale supporto sia emotivo che pratico.

La malattia di Alzheimer colpisce, solo, in età presenile (oltre i 65 anni) o esistono anche casi di improvvisa precocità?

Esistono forme di demenza dette “ad esordio precoce” proprio perché colpiscono prima dei 65 anni, e presentano sintomi simili agli anziani con demenza ma l’impatto della malattia nella loro vita è decisamente diverso. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di persone ancora attive, con un lavoro, una famiglia pertanto si può immaginare quanto questa malattia sia ancor più devastante e distruttiva. Inoltre, mentre nelle forme tardive, la malattia può durare anche dieci anni, nelle forme precoci il decorso è più veloce.

Viene spesso, e forse erroneamente, definita “patologia inconsapevole” per la ragione secondo cui chi ne è affetto non sa di esserlo. Una tesi, questa, plausibile o la demenza generativa invalida progressivamente anche lo stato d’animo del paziente?

Questa è una domanda interessante: ricordo lo spot della Federazione Alzheimer Italia del 2015 che rappresentava la progressione della malattia come una stanza ammobiliata in cui pian piano, anno dopo anno, ogni oggetto, persona, scompare definitivamente dalla mente dell’individuo così come i ricordi del presente e del passato fino a lasciare la persona malata da sola in una stanza vuota, ma la persona c’è ed è sola e avverte il cambiamento seppur non sia più in grado di comunicarlo o trasmetterlo in un linguaggio a noi conosciuto. Quindi, lo stato d’animo non degenera, le emozioni permangono, ma cambia il modo con cui le persone affette da Alzheimer o altre demenze le comunicano, spetta a noi adattare la nostra comprensione alle loro capacità.

La caratteristica principale dell’Alzheimer è la difficoltà a ricordare eventi più o meno recenti, a medio lungo termine. Anche se non scientificamente provata, la ricerca associa il tutto a placche amiloidi e placche neurofibrillari del cervello. Quali progressi medici sono stati raggiunti, fino ad oggi, nell’individuazione delle cause del morbo?

La ricerca sta proseguendo i lavori per individuare una possibile cura della malattia senza ancora aver raggiunto l’obiettivo: si parla di un probabile vaccino; diversi studi su farmaci o geni dell’Alzheimer ma nulla ancora di comprovato scientificamente. Una scoperta interessante è stata fatta però su un possibile fattore di rischio della malattia: la quantità di rame libero presente nel sangue. La dott.ssa Rosanna Squitti ha guidato il gruppo di ricercatori della Fondazione Fatebenefratelli, Isola Tiberina di Roma nella messa a punto di un test preciso e affidabile che misura tale valore. La ricerca viene eseguita presso l’Università di Bari, facoltà di Scienza del Farmaco, con il Prof.Nicola Carabufo. Diversi studi hanno dimostrato come molti dei deficit che caratterizzano l’Alzheimer, quali una peggiore performance cognitiva, aumento dell’atrofia cerebrale, disturbo dell’attività elettroencefalografica, siano molto ben correlati con questo tipo di rame presente nel sangue e ora è disponibile il test C4D, un semplice prelievo ematico per identificare precocemente quei soggetti in cui un alterato metabolismo del rame potrebbe essere concausa della malattia o fattore di rischio di progressione della stessa. La negatività del test non significa che la persona non si ammalerà così come un risultato positivo indica solo una maggiore suscettibilità. L’obiettivo è che, una volta individuato questo rischio attraverso il test e trattandosi di un rischio modificabile, è possibile dunque fare prevenzione cambiando il proprio stile di vita, ad esempio diminuendo l’assunzione di rame o tenendo in considerazione che esistono alcuni cibi che è bene consumare con meno assiduità, poiché contenenti un’alta quantità di rame.

Esistono particolari terapie che blocchino il decorso della malattia?

La risposta è purtroppo negativa: attualmente gli interventi sono diretti al rallentamento della progressione della malattia e alla prevenzione.

Si stima che, entro il 2050, 1 persona su 85 sarà affetta da Alzheimer. L’eventuale involuzione sanitaria a cui andremmo incontro può dipendere da fattori contestuali e contingenti, quali vita frenetica, stress e inquinamento?

Attualmente non ci sono evidenze scientifiche che correlino la malattia di Alzheimer a tali fattori; più che altro, come detto sopra, si parla di stile di vita ottimale che fa da prevenzione all’insorgere di queste patologie in termini di fattori protettivi e non di certezza assoluta.

A farsi carico del soggetto affetto da Alzheimer è, il più delle volte, un parente stretto (coniugi, figli, ecc). L’assistenza al lungodegente rischia di compromettere aspetti psicologici e sociali di un intero nucleo familiare. Qual è l’iter comportamentale che lei, Dottoressa, consiglia di seguire?

La malattia di Alzheimer è in effetti una patologia sociale e i caregivers, coloro che si prendono cura della persona malata, sono investiti di un carico assistenziale enorme da affrontare da soli. L’impegno auspicabile è mantenere la persona malata nella propria abitazione il più a lungo possibile in modo da non traumatizzarla con distacchi improvvisi e al contempo mantenere un legame sempre presente alla vita passata. È vero anche che le famiglie moderne non hanno più innumerevoli figli che possono suddividersi questo carico; in più man mano che la malattia avanza, l’assistenza aumenta e ciò diventa difficile da attuare; è per questo che ci sono passi graduali da affrontare: informazione; l’assistenza domiciliare integrata e specializzata; centri diurni fino ad arrivare a RSA e/o RSSA, strutture di ricovero a lungo degenza. Tutto questo deve però essere affiancato da un supporto psicologico alle famiglie che vedono cambiare il proprio caro fino a non riconoscerlo più e quindi accompagnare loro all’accettazione di tale cambiamento pur rimanendogli sempre accanto. Lo sportello interviene in questo percorso sia da mediatore che da protagonista attivo.

L’incontro dello scorso 10 dicembre si intitola “Alzheimer Andria: per non essere soli.” In che modo si può garantire vicinanza a persona affette da Alzheimer, scongiurando, così, l’inquietante spettro della solitudine che, specialmente in età avanzata, rischia di fare capolino nelle nostre vite?

Come detto in precedenza, il sostegno psicologico è l’arma migliore per combattere la solitudine. Lo sportello fornisce infatti servizi di gruppi di mutuo-aiuto ai care-givers per condividere le emozioni che si provano e percepiscono nel processo di assistenza; d’altro canto interviene direttamente sulla persona colpita dalla malattia attraverso percorsi di riabilitazione e stimolazione cognitiva personalizzati finalizzati al mantenimento delle capacità cognitive residue e/o al rallentamento della progressione della malattia. Inoltre programmi di prevenzione per l’invecchiamento patologico. Questo insieme di interventi è possibile grazie alla presenza di molteplici figure professionali quali neuropsicologhe come la sottoscritta, la dr.ssa Marilena Tota e la dr.ssa Mariagrazia Virgilio che collaborano con lo sportello e con l’Associazione Alzheimer Bari; la possibilità di visite specialistiche mediche; consulenze legali, valutazioni neuropsicologiche, il tutto sempre nell’ottica di una presa in carico della persona malata a 360 gradi.

Progetti futuri?

Lo sportello vuole diventare una realtà attiva sul territorio andriese lavorando per la creazione di una rete di servizi tra la ASL, i MMG e il comune al servizio sia dell’utenza cittadina sia del personale sanitario che si occupa di Alzheimer e demenze correlate: i prossimi progetti saranno infatti corsi di formazione sia per i familiari che per gli operatori del settore così da preparare loro a ciò che la malattia porterà nella loro vita personale e lavorativa e quindi al contempo alleviare nelle famiglie l’angoscia che l’ignoto porta con sé e, aumentare la professionalità in chi fa dell’assistenza alla persona malata, un lavoro.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.