Non so voi, ma io cerco Dio

Il verde delle valli e dei prati e dei monti e dei declivi era totale. Solo il cielo gareggiava in colori. Perché a duemila e passa metri l’aria comincia ad essere aria, niente smog, nessun rumore molesto, solo crepitii della natura che parla e a volte canta. Con lo scampanio delle mucche al pascolo ad esempio, col vento tra le fronde degli alberi poi,  con l’acqua di un ruscello. E in tutto una conta mentale: uno due tre. Un passo dopo l’altro, una pendenza e una risalita. Le radici che si presentano arroganti:“ Mi scusi sa, ma oggi deve proprio passare da qui?”. E le nuvole che corrono e vivono di vita loro . Ho smesso da subito e di fotografare, volevo solo guardare e guardare e bere dalle pupille e respirare col ventre: i polmoni ebbri, il cuore in pace. Finalmente.

Ho visto l’infanzia tornare, non come ricordo ma come gusto preciso. Ho visto Peter scendere veloce con le caprette e la nonna cieca dietro la finestra ad ascoltare. La baita era proprio dinanzi a me, stesse travi scure, stesso tetto che per un lato spiove di più, stessi assi che il nonno riparò all’insaputa. Il vecchio burbero nonno che non parlava ma agiva. Una vecchia cieca e un vecchio muto, dolcezza infinita. Ed io persa tra un passato antico ed un futuro ambiguo. Quattro cinque e sei.

Attenzione ai simboli dei percorsi, il gruppo aiuta. Perché il gruppo ha le proprie mancanze, gli stessi limiti e qualche slancio in prestito. Il gruppo depone sempre a proprio favore. Il gruppo non ti fa perdere. Il gruppo è persona. Sette otto

Però la  baita non la trovavo. Ho vito abeti simili, cani grandi a guardia delle stalle, fontane nei tronchi ma niente. Non poteva essere stata inventata e basta. Da qualche parte ci sarà pure. Niente che affiori alla mente è frutto solo della mente. E cercavo, e guardavo, e mi fermavo ad odorare coriandolo. Ho raccolto pietre che brillavano. È  muscovite dice il geologo. Si chiama così quindi  il cosmetico delle stelle prestato alla terra? Non volevo calpestarle ma volare ancora non so. Nove e dieci

Mai uscire dai percorsi. Ma il laghetto verde come il prato era a portata di vista e appariva vicino. Per raggiungerlo prima che scomparisse come un miraggio di alta quota bastava andare a casaccio. Ho sentito i piedi bagnarsi ed affondare. Eppure era erba quella, per poi capire che cresce sull’acqua e il pantano è la sua vita. Errata corrige. Bisogna tornare sulla retta, pardon, tortuosa via. Undici

Alla ricerca della baita perduta? Di mio ho visto montagne enormi e immense, malghe appese ai fili dell’albero di Natale della vita, aria da mettere nei contenitori e portare a casa. Dodici tredici quattordici.

La nostra guida ci ha lasciati.  Si è girata sui tacchi degli stivali delle sette leghe e ha proseguito. E siamo  a quindici, sedici. E poi non ho contato più.

La strada prosegue, la vita anche. Sospettavo che contare è possedere il  tempo ma il tempo è infinito.

Cosa cercavo per valli e cime? Cosa cerco qui a casa? Perché vado in alto e poi ancora più su?

È la domanda che è risposta. Non so voi, ma io cerco Dio.