Ricorre tra qualche giorno l’ennesimo anniversario della morte di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse (e non solo?) il 9 maggio del 1978, 55 giorni dopo il sequestro e la strage degli agenti di scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.

Nonostante i molti anni trascorsi e le bandiere iconoclaste che garriscono nella vita pubblica italiana, la figura di Aldo Moro continua ad essere di grande attualità. Complici il collasso delle “grandi narrazioni”, il martirio, il vuoto pneumatico di riferimenti culturali che affligge formazioni partitiche “infondate” (ovvero prive di una qualche identità anche solo sociale), il pensiero di Moro, quasi fosse un giacimento di preziose commodity, è sempre più oggetto di una corsa all’accaparramento. Una “trivellazione” , talvolta, inquinata e inquinante, dalla quale scaturiscono evocazioni di taglio agiografico, permeate dalla tentazione di citazioni “filologicamente” scorrette. Del resto vastità e complessità dell’esperienza morotea sono tali che anche con le migliori intenzioni il rischio di fraintendimenti, incomprensioni, distorsioni è molto alto, soprattutto, quando le “quotazioni” sono decontestualizzate e/o sono brandite da protagonisti della vita politica agli antipodi rispetto alla cultura dello statista salentino. È quello che  accade, per esempio, con una certa frequenza, con la frase culminante dell’intervento del 9 marzo 1977, in parlamento, durante la discussione sullo scandalo Lockheed: «Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare». Per non dire della tragedia “ermeneutica” delle lettere scritte durante la “prigionia”.

Date queste circostanze un modo diverso per ricordare Aldo Moro è quello di cercare testi dimenticati e proporli al lettore nella loro nuda e lancinante forza espressiva, senza commenti, chiose o interpolazioni di sorta.

È il 1945, la seconda guerra mondiale è finita da poco. Tra le macerie di un’Italia distrutta, che muove i primi e incerti passi della ri-costruzione, Aldo Moro, consegna alla rivista Studium (il periodico dell’associazione laureati cattolici, edito dalla omonima casa editrice, fondata nel 1927 da monsignor Giovanni Battista Mondini), un breve saggio che introduce i temi ripresi e sviluppati in molti degli scritti che possiamo leggere nella raccolta postuma  L’intelligenza e gli avvenimenti  (1979).

«Mentre la lotta armata tra i popoli è appena terminata e la pace degli spiriti è ben lontana dall’essere costruita, noi ripercorriamo attoniti e dolenti il cammino di sciagure, di odio, di miserie, di ipocrisie fatto in questi anni. Ci accorgiamo che la vita nelle sue più grandi risorse fu sperperata con una paurosa sconsideratezza. Ci accorgiamo che al furore della lotta il fragile e stanco amore degli uomini non ha resistito. Nell’oscuramento dei valori, nella provvisorietà pericolosa dei rapporti sempre minacciati dall’incomprensione e dall’odio, noi subiamo la tentazione di non saper trovare nella vita una luce di razionalità che ancora la spieghi, la indirizzi, le attribuisca valore. Siamo tentati, in una parola, dalla disperazione. Ma noi uomini di cultura [e non solo] non possiamo disperare, perché possiamo capire. Sembrerà ben piccolo conforto questo, inefficace promessa di cose migliori, ed è invece una stupenda risorsa che non dobbiamo disperdere. Capire non è tutto, ma è tanto. Significa non farsi ingannare dalle apparenze, non attribuire ad una fatalità misteriosa quello che è colpa invece degli uomini, ritrovare la prova certa della libertà e responsabilità dello Spirito, individuare di più, con precisione, gli aspetti lacunosi ed ingiusti della nostra esperienza sociale, le deficienze, straordinariamente determinanti, dell’educazione e del costume. Una rinascita comincia da qui, da questa comprensione attenta e spregiudicata, da questo doloroso sapere che è pur pieno di consolazione».