
Un dovere testimoniare i luoghi, le persone
In questo libro l’Ofanto del titolo rappresenta una sorta di Rubicone esistenziale: di qua la lotta per la sopravvivenza, il lavoro, le ambizioni, le preoccupazioni, le vicissitudini quotidiane segnate dall’impegno, i ritmi scanditi dalle necessità, i luoghi della consuetudine quotidiana, i collaboratori, le resistenze e le forze propulsive; di là invece la tranquillità, la solitudine, la famiglia, il giardino con le sue diuturne e rilassanti attività, in definitiva una tregua e una distanza da frapporre tra la frenesia e la serenità.
La radice e la sostanza di questo libro vanno individuati in un fortissimo attaccamento al territorio, che ne costituisce non solo la struttura portante e il tema pregnante ma anche l’atmosfera e il respiro stesso.
A volte lo sguardo si fa critico ed evidenzia le ombre, ma lo fa sempre nell’ottica di un miglioramento e alla luce di questo legame, e mai l’ardore sposa il campanilismo o si fa di parte, ma tutto avviene nello stretto perimetro di un viscerale amore.
Che l’Ofanto assurgesse al ruolo di evidenza esistenziale appariva chiaro già nella raccolta Quasi una metafora, in una poesia datata 5 maggio 1987, dove
Penetrata dal fiume
la marina canta
la vastità dell’amore.
E dove l’acqua del fiume convoglia bronchi di sterpi – tra ciuffi di canne /e crepe di sete -. In quel libro già si andava delineando il controverso sentimento di amore e odio per la città, un’attrazione viscerale, il richiamo della terra materna, della lingua, delle sue tradizioni, inestinguibile e seducente, e dall’altra l’avversione per i maneggi, per la volgarità di certa politica, per l’avidità, l’attaccamento alla “roba”, per la confusione e il rumore, per alcune scelte scellerate che hanno ferito il tessuto urbano.
Sentimenti contrastanti che si riaffacciano già nel titolo: Al di qua e al di là dell’Ofanto, dove il fiume segna una demarcazione netta tra le aspirazioni a una vita realizzata all’interno di un’operosità serena e il ricordo dei contrasti, delle frizioni legate all’ambiente lavorativo e al frastuono di una città dalla esuberante vitalità, e in mezzo le infinite sfumature, il richiamo irrinunciabile dei ricordi d’infanzia, degli amori giovanili, delle passioni politiche e delle utopie che hanno segnato ampia parte di una generazione, descritte in maniera a volte esplicita, a volte soltanto suggerita, come nel ritornare spesso su quel desiderio di focaccia che rappresenta qualcosa di più di un semplice desiderio culinario: vi si potrebbero rintracciare alcune presenze familiari, quella del padre per esempio, che era solito festeggiare il buon esito di un raccolto portando a casa focaccia calda, e la sollecitudine dell’amicizia nell’offrirla in varie occasioni, o anche nel trascriverne la ricetta.
Una storia svelata è il titolo di un precedente volume, di chiara impronta autobiografica, in cui Ruggiero Mascolo passa in rassegna le fasi cruciali della sua vita e ne racconta gli episodi salienti. La struttura portante di entrambi i libri è rappresentata dalla memoria; anche lì i ricordi dell’infanzia, i viaggi, gli amori, le passioni giocano un ruolo di fondamentale importanza. Che cosa dunque distingue le due opere? La consapevolezza dell’importanza della scrittura. Credo che un brano illuminante sia quello contenuto nel capitolo L’autobiografia si fa storia, nella riflessione del paragrafo che porta lo stesso titolo e che così recita:
All’età cui era giunto, con le esperienze accumulate e le storie da raccontare, avvertiva che era quasi un dovere testimoniare, documentare i luoghi, le persone. Ma questa scrittura era anche qualcosa di più, si trattava di una resa dei conti con se stesso, era una specie di cura. Era entrato in un momento della vita in cui sentiva il bisogno di raccontarsi: una sensazione più che un progetto.
Sono passati sette anni dalla pubblicazione di quel libro e qui appare evidente il salto di qualità rispetto alla consapevolezza del fascino, della magia della scrittura, considerata come una resa dei conti con se stessi, e in definitiva come una cura. I ricordi, queste ombre troppo lunghe del nostro breve corpo, recitano alcuni versi di Cardarelli; e qui le lunghe ombre si affacciano quando ci si rende conto della brevità del nostro corpo, quando il tempo vissuto si è talmente allungato da rendere evidente la prossimità del tratto finale. Forse è quando il percorso residuo si avverte più esiguo che si fa urgente il bisogno di un resoconto, di un bilancio sul significato della nostra vita. E allora è la scrittura il mezzo con cui confrontarsi, la scrittura come cura, ma soprattutto come strumento in cui specchiarsi, in cui rivedere le tappe salienti di una vita, territorio che consente di riflettere e riflettersi.
Dunque in che maniera si snoda la trama di questo romanzo? attraverso quale intreccio si snodano le vicende?
A queste domande sono possibili e lecite alcune risposte: la prima è contenuta in una frase del romanzo stesso:
…Un romanzo sulla città, perché i romanzi hanno un potere evocativo maggiore di tanti libri di storia e aiutano a rendere mitico e simbolico un luogo fissandolo nella mente dei lettori.
Se vogliamo allargare il discorso sulle potenzialità dell’arte in generale, e non solo della scrittura letteraria, possiamo ricordare che è opinione sempre più diffusa che non è la politica artefice dei cambiamenti, la politica si limita a certificare necessità, bisogni, desideri che si agitano nel corpo della società e chiedono di essere riconosciuti e consolidati, ma è l’arte che spinge nella direzione di nuove consapevolezze, di sensibilità da risvegliare, di nuovi territori da esplorare.
Inoltre sempre a proposito di trama, vorrei ricordare come la scrittrice francese Annie Ernaux, ultimo premio Nobel per la letteratura, nei suoi romanzi rinunci a un intreccio in favore di una lucida esposizione dei fatti; il suo libro forse più famoso in Italia, Gli anni, racconta gli avvenimenti più importanti della storia della Francia a partire dagli anni ’40, e così commenta la sua scrittura:
Si guarderà dentro solo per ritrovarci il mondo, la memoria e l’immaginario dei suoi giorni passati..,
e così il racconto scorre e ricorda la successione di immagini di un documentario in bianco e nero.
E sempre a proposito di intreccio, l’autore scrive: Rivendico le mie sfaccettature. È tutto qui l’intreccio, nel rincorrersi e nel sovrapporsi delle varie anime dell’autore. L’avvio del libro risponde alle esigenze del narratore: inventare uno spunto narrativo capace di affascinare il lettore, e poi subito appare il divulgatore e lo storico, che si gettano a capofitto nel racconto delle saline di Margherita di Savoia, fornendo così al lettore informazioni interessanti, come la vicenda amorosa di Annibale con la giovane donna di Salapia, sedotta e abbandonata, cui si farebbe risalire il nome della località Alma dannata. E a tratti si affaccia lo sportivo appassionato di ciclismo e di corse di fondo e di lunghe camminate a passo veloce, ottimo pretesto per dare voce allo scrittore e al poeta al fine di offrire una vivace descrizione della spiaggia:
Dal finestrino entrava aria fresca. La spiaggia di Ponente si stendeva languida di sabbia e di sole, assonnata e non ancora invasa dai bagnanti con ombrelloni, palloni e contenitori di vivande che sarebbero arrivati più tardi. C’era quasi un odore di mare e di angurie o cetrioli che veniva da qualche arenile superstite lungo il litorale, non ancora convertito in parcheggio.
Anche lo studioso di lingue rivendica un suo spazio:
Prese a studiare il russo da solo, caparbiamente, sino a impadronirsene, pur nell’assenza di esperienze concrete, date le difficoltà di quegli anni.
Riemerge anche il professore, con la citazione dei versi di Orazio, e il bibliotecario, e lo studioso di storia locale, e il viaggiatore, con le descrizioni delle campagne dell’Estonia e poi della Bolivia:
La città sembra una piramide rovesciata, con i ricchi in basso, tra grattacieli e villette, e i poveri in alto, in catapecchie di legno e pietra, con le fogne all’aperto e le facciate delle case senza intonaco.
Anche il narratore puro vuole la sua parte, e abilmente e con immagini vivide ripercorre la storia della città dissacrando personaggi emblemi della storia cittadina, Carlo Cafiero e De Nittis in primis, e vicende iconiche come la Disfida, e sbeffeggiando notabili locali che sfilano durante un corteo rievocativo, prendendosi in definitiva quelle rivincite che la narrazione e l’invenzione possono concedere.
E ogni anima, ogni sfaccettatura trova il suo incastro, la sua collocazione all’interno del romanzo.