Saremo mica tornati allo squadrismo di epoca fascista?

Caro direttore,

tra i molteplici avvenimenti di questi ultimi mesi, tra aggressioni razziali e frasi indecorose, tra #chiudiamoiporti e #primagliitaliani, credo che Lei sia a conoscenza di ciò che è successo a Bari qualche sera fa: 5 uomini che avevano partecipato a un corteo antirazzista, mentre stavano rientrando verso le proprie case, attorno alle 22, sono stati aggrediti da un manipolo di militanti di CasaPound, in Via Eritrea.

Lì, proprio in quella via, proprio in un quartiere chiamato Libertà, si trova la sede del partito di estrema destra.

Ma sarà un’aporia? Proprio in via Eritrea, uno stato africano, patria di molti uomini arrivati in Europa a cercar fortuna, preda di una dittatura ormai da decenni, dove loro vogliono che questi poveri uomini siano rispediti. Proprio nel quartiere Libertà, libertà di essere felici, che a questi uomini viene talvolta negata solo perché catalizzatori di un problema che non c’è, perché hanno la pelle più scura.

L’aggressione è avvenuta davanti a una donna eritrea e al suo piccolo figlio in passeggino. Lei stava manifestando a quegli uomini la paura che provava mentre girava tra quelle strade, per sé e il suo piccolo. A quel punto i facinorosi, vedendo la scena, si sono avvicinati, e nella colluttazione sono rimasti feriti due uomini, Antonio Perillo e Claudio Riccio, l’uno assistente di un’eurodeputata di sinistra, l’altro candidato alle elezioni tenutesi a marzo per la Camera dei Deputati per Liberi e Uguali. Sono stati trasportati entrambi in ospedale con gravi ferite alla testa. La Polizia, che aveva pattugliato la zona della manifestazione, era lontana dall’accaduto.

Magari non immaginavano di finire la loro serata in un letto d’ospedale. Magari non immaginavano di finire la loro serata con la testa sanguinante e dolori lancinanti. Magari tutti i testimoni dell’accaduto non immaginavano di dover imprimere nelle loro menti tanta inaudita e insensata brutalità.

Caro direttore,

saremo mica tornati allo squadrismo di epoca fascista?

Da quello che so, i libri di storia raccontano che le “memorabili” Camicie Nere picchiavano casa per casa i dissidenti antifascisti, e quello che è successo a Bari un po’ ci assomiglia.

È chiaro, oggi gli episodi sono molto più isolati di quanto non lo fossero 75-80 anni fa, ma se la storia, da buona maestra, ci insegna a rigettare la violenza, perché, ancora oggi, noi siamo rigettati in questa? Cosa porta l’uomo a dover difendere all’estremo il proprio pensiero, in un’epoca in cui dovrebbe essere ormai maturata l’esistenza di tanti diversi pensieri?

Forse, caro direttore, è perché stiamo attraversando un periodo di crisi culturale. Sì, perché è proprio nella crisi che cresce l’esigenza di cercare un nuovo “guru”. Ed è proprio nella crisi che colui che ha in mente di rivoluzionare, di voltare pagina, trova un campo perfetto in cui piantare le proprie radici. Non vi sono idee, non vi è costruzione, vi è solo voglia di distruggere. Non si sa cosa, ma intanto, che si distrugga pure.

Ma nella crisi, così come in qualsiasi momento storico, è bene che emerga il buon senso che è in ciascuno di noi, quello che ci dice che l’atteggiamento repressivo, che la sistematizzazione dell’odio sono i metodi più errati per giungere a una soluzione. Anche nella crisi è bene rivolgersi a quei valori a cui siamo stati educati: essi dovrebbero essere il nostro faro, quello che guida nel mare la rotta dei marinai, sia che navighino in acque tranquille sia in balia della tempesta.

Perciò, allora, penso che dovremmo comportarci come si comporterebbero dei buoni marinai.

In ciò che è accaduto ieri non ho visto buon senso, solo voglia di supremazia, solo violenza, condannabile, si badi, a prescindere dalle fazioni che si combattono. In ciò che è accaduto ieri ho visto la caduta dei valori a cui siamo stati educati, quelli per cui molti uomini hanno dato la loro vita, perché i loro successori ne potessero godere.

Caduti sotto la scarica di innumerevoli pugni e calci, sbattuti da chi ha gli occhi offuscati dalla cataratta della xenofobia e dell’intolleranza senza ragioni.

E nelle ferite alla testa dei due uomini vedo anche una seconda ferita, quella dell’anima, l’anima di chi spera in un mondo di pace e uguaglianza, e si vede aggredito dalla discriminazione e dalla violenza. Forse la ferita sulla fronte di quegli uomini si rimarginerà presto, ma per quella nella loro anima ci vorrà molto tempo.

In situazioni come queste sono abituato a pensare alla più celebre delle frasi di Voltaire, che più o meno suona così: “la mia tesi è diversa dalla tua, ma combatterò fino alla morte perché tu possa esprimerla”: Voltaire è vissuto circa tre secoli fa, ma nulla, a sintetizzare la libertà di manifestazione del pensiero, questa libertà macchiata dalla violenza, potrebbe essere più consono di questa massima…

Ad maiora alle vittime di questa aggressione; ad maiora agli aggressori, perché anche loro possano tornare al buon senso, tornare ad essere Uomini…