IL CONTINENTE DEL FUTURO

Ho sempre guardato con attenzione a ciò che avviene in Africa, un continente che da sempre mi affascina, sin dai tempi della mia infanzia quando guardavo con grande curiosità i documentari naturalistici ambientati nella savana, aventi come protagonisti i grandi esemplari del mondo animale. Il mio interesse per questa terra si è concentrato su alcune letture di autori africani, come Ben Okri e Patrice Nganang, di cui ho letto non molto tempo fa La Stagione delle Prugne. C’è un certo fermento, non solo letterario ma anche musicale, che proviene dall’Africa e che ha contagiato parecchi artisti europei, quelli più avanguardisti, se così si può dire, come Damon Albarn che molto spesso va da quelle parti per cercare ispirazione o per collaborazioni. Non deve stupire il successo del Marocco nel calcio, non solo sportivamente parlando, che dopo alcuni tentativi è riuscito a ottenere i Mondiali del 2030, seppur in collaborazione con Spagna e Portogallo. L’Africa è il futuro, si ripete spesso, con una popolazione giovane, in crescente ascesa e con economie pronte a compiere il prodigioso balzo in avanti che hanno compiuto i paesi asiatici.

Qualche settimana fa mi è capitato tra le mani il nuovo libro di Federico Rampini, La Speranza Africana, un saggio interessante e illuminante che cerca di delineare le future traiettorie del Continente africano.

Il sottotitolo dell’opera, La terra del futuro concupita, incompresa, sorprendente, traccia il percorso che il giornalista e saggista intende perseguire nella sua trattazione. L’Africa resta un continente appetibile, una terra concupita,  per molti e alcuni paesi, tra cui la Cina, hanno pesantemente investito non solo per la necessità di trovare uno spazio economico vitale, ma alle volte sotto “invito”, per usare le parole di Rampini. Il ruolo delle potenze occidentali sembra essersi defilato, soprattutto quello degli USA che si limitano ad aiuti umanitari. In questo contesto sembra essersi attenuata inoltre l’influenza delle due grandi ex potenze coloniali, la Gran Bretagna e la Francia. L’Italia, che ha un passato coloniale modesto e che non gioca un ruolo di primo ordine nel Mediterraneo, allo scoppio della guerra in Ucraina aveva cercato di svincolarsi dal gas russo con gli accordi con l’Algeria e di attuare, secondo le intenzioni di Meloni, un nuovo piano Mattei.

Tante volte, dice Rampini, esiste una generalizzazione sull’Africa, la volontà di imporre un panafricanismo a tutto il continente. Come è possibile riportare ad un unico blocco una terra che è costituita da 54 stati e che all’interno degli stessi presenta ulteriori differenze? Solo per capire la complessità, In Nigeria, paese anglofono, ci sono tantissimi ceppi linguistici differenti. I paesi dell’Africa sono tra loro differenti per cultura e storia. Non si può equiparare il Nord Africa, che nel contempo fa parte del bacino del Mediterraneo e quindi influenzato anche dalla cultura greca e romana, ai paesi dell’Africa Subsahariana, per non parlare dell’esclusività di cui gode l’Etiopia, uno stato che ha vissuto una certa indipendenza e che ha subito una breve parentesi coloniale :”Questo ha dato all’Etiopia un prestigio unico nel continente, ne ha fatto un modello per tutti. Nessun altro leader nell’era dell’indipendenza godette dell’ammirazione e perfino adorazione riservata all’imperatore etiope Hailé Selassié”. Esiste poi quell’atteggiamento compassionevole di chi vede l’Africa come una terra povera e affamata, che ha dato vita al pop umanitario di We are the World, che induce a concepire l’Africa come un continente denutrito e depauperato, spesso rimbalzato sui nostri schermi TV attraverso le campagne pubblicitarie di organizzazioni internazionali. L’Africa non è solo povertà e desolazione, ma è fatta anche di grandi città con una vita essenzialmente non lontana da quelle delle nostre metropoli, dove si fa letteratura di un certo livello e dove la musica fa la sua tendenza, come dimostrato dal successo di Burna Boy. E si ritorna alla premessa iniziale, dove viene sottolineata la sorprendente vivacità artistica e culturale che ci parlano di un continente vivo, giovane e in pieno fermento.

Il libro di Federico Rampini è una scrittura gradevole, che si fa leggere senza grossi problemi. Dalla sua l’autore ha una conoscenza sconfinata dei Paesi emergenti, i cosiddetti BRICS, agganci con la gente del posto o esperienze personali che comprovano le informazioni teoriche. Il suo lavoro si è concentrato soprattutto sulla Nigeria e sul Sudafrica, ma diversi sono gli spunti di riflessione che suscita il suo libro, accessibile a tutti.

Quale futuro per l’Africa?

Si spera tutto africano.

Spesso gli africani sono stati sottovalutati, concepiti come cittadini periferici di un mondo di progresso e evoluzione che li ha soltanto sfiorati. Anche la toponomastica geografica li ha invasi e così alcuni laghi hanno assunto il nome di illustri sovrani. La speranza è che questo immenso territorio si riscatti da un pregiudizio spesso drammatico e frettoloso. Uno di questi pregiudizi si riferisce al passato coloniale e su questo po’ tutti ci cascano. Leggete qui: “Secondo papa Francesco, non solo il colonialismo fu una frattura enorme per le società africane, ma il suo effetto perdura e fa sì che gli africani non possano affrontare i propri problemi. Peggio ancora, coloro che un tempo sfruttarono le colonie africane oggi continuano a farlo sotto forma di colonialismo economico.” L’Africa è stanca di commiserazione e di pietismo, ha invece consapevolezza del proprio potenziale, un’enorme energia economica e umana. Dove e quando sarà possibile rilevare un progresso economico questo non lo sappiamo, ma l’Asia ci ha dimostrato che tutto è possibile. Certo, da sola non potrà farcela, ma è necessario che noi occidentali ci liberiamo dagli stereotipi e dalle generalizzazioni che finora hanno bloccato l’inventiva e la libertà di un continente che vuole emergere e mostrare di essere all’altezza delle speranze e delle aspettative di tutto il mondo.