Campione per sempre

Il Kaiser, ovvero, l’Imperatore. Perché solo un imperatore custodisce i propri possedimenti salvaguardandoli dal nemico, solo un imperatore valica confini del possibile per ghermire trofei impensabili, solo un imperatore può avere classe ed eleganza come Franz Beckenbauer.

Campione del Mondo da calciatore (1974) e da allenatore (1990), Beckenbauer traccia le linee di un campo da calcio a mo’ di architetto del pensiero libero, una libertà personificata da un ruolo, il libero appunto, che lui inventa e re-inventa, facendo proseliti, tutti ossequiosi in religioso silenzio davanti alle sue giocate, cavalcate anacronistiche di chi poteva competere ovunque, in Europa e in America, al Bayern e al Cosmos.

“Ma chi sei, Beckenbauer?”: la domanda retorica su ogni campo di periferia, il quesito posto ad ogni aspirante difensore, proteggere senza colpo ferire, arginare a testa alta, scudo per evitare colpi, partire dalle retrovie a petto infuori come chi vuole conquistare, perché dal basso si scalano le montagne più impervie.

Franz Beckenbauer, mai sconfitto, neppure in quel leggendario 4-3 dell’Azteca in Messico. Era il 1970, e tutti gli italiani vollero e ottennero lo scalpo dei tedeschi, eccetto del Kaiser, quel blocco di ghiaccio era sembrato più umano, una spalla lussata, lo stoicismo di un guerriero che lotta per la patria, la fasciatura ad un braccio, la fascia di un Capitano precursore di un concetto sferico e ciclico, un pallone lanciato al cielo e che il cielo non ci restituirà più.