A BARLETTA IN UN’UMILE ABITAZIONE…

Forti fitte di dolore, al basso ventre, insistenti. Assalti sempre più frequenti, rincorrentisi, assillanti. Seguono sussulti di tutto il corpo e vuoti d’aria, le manca il respiro, teme di afflosciarsi per terra, la fronte madida, si sente stanca ed affaticata. Esausta, impaurita, sola. Saranno in arrivo le doglie? Sembra proprio di sì, oggi infatti, 15 luglio 1943, esce di conto. L’evento dovrebbe essere imminente. Che gioia mettere al mondo il loro figlio, suo e di Michele, congiuntamente, che paura per l’imminenza e il futuro, l’Italia è in guerra, e quanta sofferenza, personale e sociale!

Si appoggia alla gigantesca radio con giradischi che più volte nella giornata mette in funzione per ascoltare il disco “Brasìl” e fare, purtroppo da sola, (le piace tanto ballare col suo abilissimo ballerino) un giro di valzer, poi si siede alla sedia più vicina e, rapita, lancia uno sguardo alla finestra; la catturano, infatti, i grappoli d’uva che giocano a nascondino tra i pampini del pergolato, perennemente danzanti nel giardino.

Affiora una domanda angosciante che la mette letteralmente in subbuglio. E… se da un momento all’altro si aprissero le acque? Giovanissima, appena ventunenne, vissuta con un padre sordomuto dalla nascita, quindi quasi orfana di fatto. Bricioli di scolarità con il sogno nel cassetto, impossibile date le basse condizioni economiche sociali e culturali, di fare la giornalista.

La madre… analfabeta, allevata con fastidio e disprezzo da una matrigna che l’aveva trattata come una servetta, Cenerentola in carne ed ossa, riservando tutte le affabilità e premure, i vestiti di un certo pregio ed i festini per la sorellastra. Lei, rattoppata come arlecchino, indumenti dismessi, usati e sempre ad accudire alla casa, alla campagna ed alla mula, ad attingere acqua alla fontana pubblica. Messa in cattiva luce, diffamata persino presso i numerosi pretendenti per una marchiante tubercolosi che assolutamente non aveva.

Il marito in guerra, in Libia, a tanti chilometri di distanza. L’ultima lettera, il postino glie l’ha consegnata una settimana prima, sorridente. Mentre erano d’intesa di inoltrarsi una comunicazione epistolare al giorno!  E lei intanto quotidianamente con la sua bella grafia, con tono accorato, lo tiene minuziosamente informato delle sue vicissitudini personali, familiari, cittadine e ribadisce il suo amore. Quanta nostalgia, le mancano carezze e coccole! Le sue premure. Teme, tanto, per la vita del suo bel Michele che certamente, per non angustiarla sorvola sugli incombenti pericoli, tace sugli innumerevoli feriti e morti di cui viene a sapere da altre fonti.

La madre ancora non arriva. Eppure, Nicoletta è sempre precisa e puntuale, quando c’è da fare affidamento su di lei. La sua compagnia sarebbe vitale, la rincuorerebbe e avviserebbe subito la levatrice, nel caso ce ne fosse urgente bisogno. Sarà successo, si chiede angosciata, qualcosa a suo padre, che la settimana precedente aveva ricevuto un calcio dalla inquieta mula, fortunatamente senza conseguenze disastrose?

Un turbinio di pensieri e sentimenti non la mollano e la scombussolano ulteriormente. Emozioni dissestanti! Sconvolgenti! Meno di un anno prima, pochi mesi addietro, Carmela, la primogenita, dopo appena dieci giorni di vita era morta per un groppo alla gola. Quanto aveva sofferto, povera figlia, così minuscola, e lei impotente! Finché il flebile respiro, affaticato, si smorzò per sempre. Una cascata di scrupoli che ancora non le danno tregua. E se perdesse anche il/la bambino/a che sta partorendo? Come farebbe a sopravvivere? Che senso avrebbe per lei la vita? E se morisse lei, che succederebbe al suo uomo, ai suoi fragili genitori?

La tragedia di Tonino, suo fratello deceduto giovanissimo per malasanità, l’assale di continuo. Ha lasciato la moglie, Marietta, sorella di suo marito, e tre figlie, la più piccola, Antonietta, nata alcuni mesi dopo la morte del padre. Le voleva un gran bene, Antonio, e lei provava un forte sentimento di affetto per suo fratello. Ad ambedue balzava il cuore in gola quando si vedevano e… si confidavano segreti. E ridevano allegramente, accarezzandosi.

Il batacchio del portoncino che immette nel lungo corridoio condominiale dell’abitazione, facendola sobbalzare, la riporta al presente.  Si alza a fatica e caracollando va ad aprire. Un nugolo di persone care, sua madre, affannata; la sua amica Pasquarella, Rarella per tutti, amabile coetanea che abita di fronte; e… la levatrice, che dopo aver gestito un altro parto a domicilio sta facendo ritorno a casa sua.

Passando di là, la solerte professionista sanitaria ha voluto fare un salto dalla sua paziente per verificare le sue condizioni ed il decorso della gestazione. Le rivolge domande, le tocca la pancia in prossimità dell’inguine, là, in mezzo alla strada, bianca, polverosa, tanto son solo donne! Tirando le somme, la nascita è imminente, entro la notte o al massimo l’indomani mattina. Il tempo di consumare una cena veloce, e sarà di ritorno.

È di parola, dopo un’ora riappare, Brigida. Si presenta anche Carmela nel minuscolo appartamento, l’anziana proprietaria dell’umile immobile, una stanza da letto, umida, una cucina con stufa alimentata dalla segatura, e il càntaro, il water dell’epoca, servito in un manico da uno straccio tinteggiato di sfumature che vanno dall’ocra, alla terra di Siena naturale, alla terra di Siena bruciata, alla terra d’ombra,  in una stamberga con tetto ad uno spiovente ombreggiata da un gigantesco fico. Dirimpetto i rami penduli di un ciliegio, il cui tronco radica oltre il muro di cinta, un ciliegio, un pero, in basso un mandarino che stenta a crescere, una stupenda pianta di rosa di un tenue color ciclamino ed un esercito di acetoselle, chiacchierone, con le loro delicate testoline allegre.

Un muro di calcarenite, scalcinato, separa il giardino dall’orto. Ampia la cisterna che raccoglie acqua piovana, minuscolo l’impianto di produzione di calce idrata. Troneggia, un gigantesco gelso, ospitale per i passerotti, tanti allora, oggi in via di estinzione, in soprannumero, pazzesco, solo le gazze. Dolcissimi i suoi frutticini bianchi; verso il fondo del rettangolo di terra di duecento metri, un altro gelso, più dimesso, con more più grandi, ma meno gustose. Sulla destra un lungo muretto di pietre a secco di proprietà di Emanuele, un anziano contadino che riscalda sovente tra le sue braccia una giovane donna il cui marito è morto in guerra, e lei fatica per sopravvivere con un figlio da mantenere. Un fico, varietà “scorza amara”, un nespolo, un melograno e un carrubo si fanno lunghe chiacchierate, gli alberi, quando il vento irrompe tra rami e fogliame e meditano quando neanche un alito di vento li accarezza.

Ora, quasi disteso il volto della partoriente, scalpita, invece, la sua creatura nel ventre e scalcia come un puledrino. Sorride e sobbalza, la donna, sofferente. Si aprono nel pieno della notte, quando la luna rischiara le tenebre, le acque, una cascata di liquido amniotico scroscia silenziosa tra le sue cosce. L’evento si avvicina, gridolini di sofferenza, lanciati dimessamente con pudore allarmano le acetoselle che allungano i petali delle loro vellutate corolle in direzione della finestra della stanza da letto illuminata da una incandescente lampadina con piatto celeste di porcellana merlettato lungo il margine.

Ferve l’attività in cucina, arde un focherello che riscalda acqua potabile, attinta in mattinata dalla fontana pubblica, nonostante il pancione, necessaria per lavare al momento della nascita il bambino o la bambina. Nicoletta prepara anche un brodino di carne di colombo per la giovane puerpera, che avrà bisogno di rifocillarsi. Le narici fibrillano.

Da alcune ore il sole, arrampicatosi agevolmente nel cielo, sembra proteso a scalare la sommità della cupola e a discenderla poi, come di consueto, furoreggiando di calde lingue rosse, gialle e arancione in una miriade di sfumature. Sono le nove. Strizza l’occhiolino, la gialla stella, attraverso i rami della lussureggiante vegetazione, in quella casetta a pian terreno, lastricata di mattoni rossi e bianchi di via Boggiano n. 29 di Barletta.

Spuntano, i soffici capelli, neri, ondulati, bagnati, sanguinolenti, la testa fatica ad uscire, aumentano i dolori, si lacera la carne; finalmente le manovre dell’abile ostetrica e la pazienza della giovane prossima mammina riescono a portare a termine la loro lieta fatica. Un maschietto, un bel bambino come tutti quelli che vengono alla luce, il nome probabilmente Domenico, in omaggio al nonno paterno, un umile, laborioso, affabile muratore, che aveva sfamato onestamente una nidiata di figli.

Angela, Lina per gli amici e parenti, emozionatissima, accoglie il figlioletto appena nato, lavato ed asciugato, fasciato come un salame, che dirige ansante la sua boccuccia verso il prospero seno materno. Sprofondano. Intanto, le fossette delle guance, di cui è fieramente orgogliosa, lo bacia teneramente, e si addormenta saporosamente sorvegliata dalle persone care e guardata dalle fronde degli alberi che scodinzolano allegramente nel giardino, dando così la lieta novella al cosmo, come campane di bronzo a mezzogiorno. Vibrazioni impalpabili, come per ogni evento, rispondono anche dalle più remote galassie, persino dagli imperscrutabili buchi neri e rilanciano raccontando una storia bellissima, solo in piccola parte comprensibile, quella di tutto l’universo.

Ottant’anni fa Lina e Michele, due umili persone mi donavano la vita, condendola man mano che crescevo con i valori della verità, giustizia, libertà, onestà, solidarietà, frugalità, ospitalità, amore verso tutte le creature vibranti, per imparare a convibrare. Sono grato a loro e a tutti quegli amici, come te, persone solari disposte ad affrontare sfide dignitose che hanno contribuito con le parole ed azioni a corroborare le mie scelte di vita.

Delle volte sono inciampato, inzaccherandomi. Che bello, una grande occasione per ricominciare!

Forti fitte di dolore, al basso ventre, insistenti. Assalti sempre più frequenti, rincorrentisi, assillanti. Seguono sussulti di tutto il corpo e vuoti d’aria, le manca il respiro, teme di afflosciarsi per terra, la fronte madida, si sente stanca ed affaticata. Esausta, impaurita, sola. Saranno in arrivo le doglie? Sembra proprio di sì, oggi infatti, 15 luglio 1943, esce di conto. L’evento dovrebbe essere imminente. Che gioia mettere al mondo il loro figlio, suo e di Michele, congiuntamente, che paura per l’imminenza e il futuro, l’Italia è in guerra, e quanta sofferenza, personale e sociale!

Si appoggia alla gigantesca radio con giradischi che più volte nella giornata mette in funzione per ascoltare il disco “Brasìl” e fare, purtroppo da sola, (le piace tanto ballare col suo abilissimo ballerino) un giro di valzer, poi si siede alla sedia più vicina e, rapita, lancia uno sguardo alla finestra; la catturano, infatti, i grappoli d’uva che giocano a nascondino tra i pampini del pergolato, perennemente danzanti nel giardino.

Affiora una domanda angosciante che la mette letteralmente in subbuglio. E… se da un momento all’altro si aprissero le acque? Giovanissima, appena ventunenne, vissuta con un padre sordomuto dalla nascita, quindi quasi orfana di fatto. Bricioli di scolarità con il sogno nel cassetto, impossibile date le basse condizioni economiche sociali e culturali,  di fare la giornalista.

La madre… analfabeta, allevata con fastidio e disprezzo da una matrigna che l’aveva trattata come una servetta, Cenerentola in carne ed ossa, riservando tutte le affabilità e premure, i vestiti di un certo pregio ed i festini per la sorellastra. Lei, rattoppata come arlecchino, indumenti dismessi, usati e sempre ad accudire alla casa, alla campagna ed alla mula, ad attingere acqua alla fontana pubblica. Messa in cattiva luce, diffamata persino presso i numerosi pretendenti per una marchiante tubercolosi che assolutamente non aveva.

Il marito in guerra, in Libia, a tanti chilometri di distanza. L’ultima lettera, il postino glie l’ha consegnata una settimana prima, sorridente. Mentre erano d’intesa di inoltrarsi una comunicazione epistolare al giorno!  E lei intanto quotidianamente con la sua bella grafia, con tono accorato, lo tiene minuziosamente informato delle sue vicissitudini personali, familiari, cittadine e ribadisce il suo amore. Quanta nostalgia, le mancano carezze e coccole! Le sue premure. Teme, tanto, per la vita del suo bel Michele che certamente, per non angustiarla sorvola sugli incombenti pericoli, tace sugli innumerevoli feriti e morti di cui viene a sapere da altre fonti.

La madre ancora non arriva. Eppure, Nicoletta è sempre precisa e puntuale, quando c’è da fare affidamento su di lei. La sua compagnia sarebbe vitale, la rincuorerebbe e avviserebbe subito la levatrice, nel caso ce ne fosse urgente bisogno. Sarà successo, si chiede angosciata, qualcosa a suo padre, che la settimana precedente aveva ricevuto un calcio dalla inquieta mula, fortunatamente senza conseguenze disastrose?

Un turbinio di pensieri e sentimenti non la mollano e la scombussolano ulteriormente. Emozioni dissestanti! Sconvolgenti! Meno di un anno prima, pochi mesi addietro, Carmela, la primogenita, dopo appena dieci giorni di vita era morta per un groppo alla gola. Quanto aveva sofferto, povera figlia, così minuscola, e lei impotente! Finché il flebile respiro, affaticato, si smorzò per sempre. Una cascata di scrupoli che ancora non le danno tregua. E se perdesse anche il/la bambino/a che sta partorendo? Come farebbe a sopravvivere? Che senso avrebbe per lei la vita? E se morisse lei, che succederebbe al suo uomo, ai suoi fragili genitori?

La tragedia di Tonino, suo fratello deceduto giovanissimo per malasanità, l’assale di continuo. Ha lasciato la moglie, Marietta, sorella di suo marito, e tre figlie, la più piccola, Antonietta, nata alcuni mesi dopo la morte del padre. Le voleva un gran bene, Antonio, e lei provava un forte sentimento di affetto per suo fratello. Ad ambedue balzava il cuore in gola quando si vedevano e… si confidavano segreti. E ridevano allegramente, accarezzandosi.

Il batacchio del portoncino che immette nel lungo corridoio condominiale dell’abitazione, facendola sobbalzare, la riporta al presente.  Si alza a fatica e caracollando va ad aprire. Un nugolo di persone care, sua madre, affannata; la sua amica Pasquarella, Rarella per tutti, amabile coetanea che abita di fronte; e… la levatrice, che dopo aver gestito un altro parto a domicilio sta facendo ritorno a casa sua.

Passando di là, la solerte professionista sanitaria ha voluto fare un salto dalla sua paziente per verificare le sue condizioni ed il decorso della gestazione. Le rivolge domande, le tocca la pancia in prossimità dell’inguine, là, in mezzo alla strada, bianca, polverosa, tanto son solo donne! Tirando le somme, la nascita è imminente, entro la notte o al massimo l’indomani mattina. Il tempo di consumare una cena veloce, e sarà di ritorno.

È di parola, dopo un’ora riappare, Brigida. Si presenta anche Carmela nel minuscolo appartamento, l’anziana proprietaria dell’umile immobile, una stanza da letto, umida, una cucina con stufa alimentata dalla segatura, e il càntaro, il water dell’epoca, servito in un manico da uno straccio tinteggiato di sfumature che vanno dall’ocra, alla terra di Siena naturale, alla terra di Siena bruciata, alla terra d’ombra,  in una stamberga con tetto ad uno spiovente ombreggiata da un gigantesco fico. Dirimpetto i rami penduli di un ciliegio, il cui tronco radica oltre il muro di cinta, un ciliegio, un pero, in basso un mandarino che stenta a crescere, una stupenda pianta di rosa di un tenue color ciclamino ed un esercito di acetoselle, chiacchierone, con le loro delicate testoline allegre.

Un muro di calcarenite, scalcinato, separa il giardino dall’orto. Ampia la cisterna che raccoglie acqua piovana, minuscolo l’impianto di produzione di calce idrata. Troneggia, un gigantesco gelso, ospitale per i passerotti, tanti allora, oggi in via di estinzione, in soprannumero, pazzesco, solo le gazze. Dolcissimi i suoi frutticini bianchi; verso il fondo del rettangolo di terra di duecento metri, un altro gelso, più dimesso, con more più grandi, ma meno gustose. Sulla destra un lungo muretto di pietre a secco di proprietà di Emanuele, un anziano contadino che riscalda sovente tra le sue braccia una giovane donna il cui marito è morto in guerra, e lei fatica per sopravvivere con un figlio da mantenere. Un fico, varietà “scorza amara”, un nespolo, un melograno e un carrubo si fanno lunghe chiacchierate, gli alberi, quando il vento irrompe tra rami e fogliame e meditano quando neanche un alito di vento li accarezza.

Ora, quasi disteso il volto della partoriente, scalpita, invece, la sua creatura nel ventre e scalcia come un puledrino. Sorride e sobbalza, la donna, sofferente. Si aprono nel pieno della notte, quando la luna rischiara le tenebre, le acque, una cascata di liquido amniotico scroscia silenziosa tra le sue cosce. L’evento si avvicina, gridolini di sofferenza, lanciati dimessamente con pudore allarmano le acetoselle che allungano i petali delle loro vellutate corolle in direzione della finestra della stanza da letto illuminata da una incandescente lampadina con piatto celeste di porcellana merlettato lungo il margine.

Ferve l’attività in cucina, arde un focherello che riscalda acqua potabile, attinta in mattinata dalla fontana pubblica, nonostante il pancione, necessaria per lavare al momento della nascita il bambino o la bambina. Nicoletta prepara anche un brodino di carne di colombo per la giovane puerpera, che avrà bisogno di rifocillarsi. Le narici fibrillano.

Da alcune ore il sole, arrampicatosi agevolmente nel cielo, sembra proteso a scalare la sommità della cupola e a discenderla poi, come di consueto, furoreggiando di calde lingue rosse, gialle e arancione in una miriade di sfumature. Sono le nove. Strizza l’occhiolino, la gialla stella, attraverso i rami della lussureggiante vegetazione, in quella casetta a pian terreno, lastricata di mattoni rossi e bianchi di via Boggiano n. 29 di Barletta.

Spuntano, i soffici capelli, neri, ondulati, bagnati, sanguinolenti, la testa fatica ad uscire, aumentano i dolori, si lacera la carne; finalmente le manovre dell’abile ostetrica e la pazienza della giovane prossima mammina riescono a portare a termine la loro lieta fatica. Un maschietto, un bel bambino come tutti quelli che vengono alla luce, il nome probabilmente Domenico, in omaggio al nonno paterno, un umile, laborioso, affabile muratore, che aveva sfamato onestamente una nidiata di figli.

Angela, Lina per gli amici e parenti, emozionatissima, accoglie il figlioletto appena nato, lavato ed asciugato, fasciato come un salame, che dirige ansante la sua boccuccia verso il prospero seno materno. Sprofondano. Intanto, le fossette delle guance, di cui è fieramente orgogliosa, lo bacia teneramente, e si addormenta saporosamente sorvegliata dalle persone care e guardata dalle fronde degli alberi che scodinzolano allegramente nel giardino, dando così la lieta novella al cosmo, come campane di bronzo a mezzogiorno. Vibrazioni impalpabili, come per ogni evento, rispondono anche dalle più remote galassie, persino dagli imperscrutabili buchi neri e rilanciano raccontando una storia bellissima, solo in piccola parte comprensibile, quella di tutto l’universo.

Ottant’anni fa Lina e Michele, due umili persone mi donavano la vita, condendola man mano che crescevo con i valori della verità, giustizia, libertà, onestà, solidarietà, frugalità, ospitalità, amore verso tutte le creature vibranti, per imparare a convibrare. Sono grato a loro e a tutti quegli amici, persone solari disposte ad affrontare sfide dignitose che hanno contribuito con le parole ed azioni a corroborare le mie scelte di vita.

Delle volte sono inciampato, inzaccherandomi. Che bello, una grande occasione per ricominciare!


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Percorso scolastico. Scuola media. Liceo classico. Laurea in storia e filosofia. I primi anni furono difficili perché la mia lingua madre era il dialetto. Poi, pian piano imparai ad avere dimestichezza con l’italiano. Che ho insegnato per quarant’anni. Con passione. Facendo comprendere ai mieli alunni l’importanza del conoscere bene la propria lingua. “Per capire e difendersi”, come diceva don Milani. Attività sociali. Frequenza sociale attiva nella parrocchia. Servizio civile in una bibliotechina di quartiere, in un ospedale psichiatrico, in Germania ed in Africa, nel Burundi, per costruire una scuola. Professione. Ora in pensione, per anni docente di lettere in una scuola media. Tra le mille iniziative mi vengono in mente: Le attività teatrali. L’insegnamento della dizione. La realizzazione di giardini nell’ambito della scuola. Murales tendine dipinte e piante ornamentali in classe. L’applicazione di targhette esplicative a tutti gli alberi dei giardini pubblici della stazione di Barletta. Escursioni nel territorio, un giorno alla settimana. Produzione di compostaggio, con rifiuti organici portati dagli alunni. Uso massivo delle mappe concettuali. Valutazione dei docenti della classe da parte di alunni e genitori. Denuncia alla procura della repubblica per due presidi, inclini ad una gestione privatistica della scuola. Passioni: fotografia, pesca subacquea, nuotate chilometriche, trekking, zappettare, cogliere fichi e distribuirli agli amici, tinteggiare, armeggiare con la cazzuola, giocherellare con i cavi elettrici, coltivare le amicizie, dilettarmi con la penna, partecipare alle iniziative del Movimento 5 stelle. Coniugato. Mia moglie, Angela, mi attribuisce mille difetti. Forse ha ragione. Aspiro ad una vita sinceramente più etica.

19 COMMENTI

  1. Ogni volta che leggo i tuoi scritti mi incanto immaginando le sequenze dei vissuti.. A me sembra di rileggere Pasternak. Tutti i dati uditivi e visivi che fanno rivivere l ambiente naturale e a volte rustico, i personaggi sembra di conoscerli, le emozioni e i patemi della sofferenza…sono immagini vere, reali. La descrizione della campagna con le piante che si evince ami a dismisura…sono sempre felice e affascinato da ciò che scrivi…grazie per ciò che proponi…sei splendido

  2. Racconto dalle alte vibrazioni che giungono ad ogni cellula di chi legge.
    La scena, descritta accuratamente nei minimi dettagli, ti prende e ti porta in quel luogo, in quel momento.
    I personaggi sono reali, si possono guardare, quasi toccare con mano.
    L’emozione è grande ma presentata in mille sfaccettature.
    Tutto ciò che può provare una donna quando mette al mondo un figlio è qua, tra queste riga.

    Racconto straordinario e unico nel suo genere.
    Complimenti Grande Domenico D’Alba

  3. Durante il cammino della nostra vita, a volte incontriamo persone straordinarie, tu per me sei una di queste, ed anche ad ottant’anni hai un’energia straordinaria.
    Complimenti!!!

  4. Caro Mimmo, mi hai fatto venire in mente quanto sono stato egoista tutte le volte che ho festeggiato il compleanno senza invitare i miei genitori, escludendo proprio chi mi ha dato la vita.
    Grazie per aver ricordato quanto amore profuso dai nostri genitori, pur in condizioni difficili, privandosi di tutto.
    Mi onora la Tua amicizia.
    Continua nella Tua opera di insegnamento.

    • Hai un’eccellente dote narrativa Mimmo, riesci a renderci partecipi e parte attiva, attraverso la dettagliata descrizione, agli eventi da te raccontati
      La vita è un bel dono, il più grande in assoluto e dobbiamo sempre onorarlo nei migliori dei modi. In questo sei maestro, i tuoi talenti sono lo strumento attraverso il quale hai impreziosito non solo la tua vita ma anche quella delle persone che ti circondano.
      Tanti auguri di ogni bene, grazie.

  5. Emozionante! Mi è sembrato di essere là e di assistere al dolcissimo evento della tua nascita! Un testo mirabilmente descrittivo, coinvolgente, accattivante. Complimenti e auguri!

  6. Leggendo questa storia ho pensato a tante altre mai scritte…
    Il nascere è posto come condizione “inconsapevole” al nascituro sia che si nasca dentro “covile o cuna”, dice Leopardi in una sua lirica. Non credo che chi nasca in un un basso fatiscente oppure in una reggia, poi, svilupperanno una vita in rapporto alle loro condizioni, sia queste siano di povertà oppure privilegiate per essere nati con la camicia. Il percorso atteso produrra i risultati i quali diranno della vita spesa. Mimmo carissimo, è un bene che tu ci sei ancora coi tuoi 80 anni a rallegrarci con la tua figura di scrittore e di persona altruistica.

  7. Il mistero della vita. La nascita di un bambino. Mirabilmente raccontata con spennellate dalle tinte calde che suscitano forti emozioni di condivisione e compartecipazione al lieto evento. Che gioia averti conosciuto! Grande Domenico

  8. Raccontare la nascita di una nuova vita ,la tua così come descritta ,tocca sensibilmente le corde dell’anima dando spazio ad emozioni vibranti di umanità.Aver conosciuto tua madre,grazie a tua sorella Carmela,non può che confermare quanto .Averti incontrato e,con il tempo,conosciuto scambiandoci pareri arricchiti da lunghe “chiacchierate ” è ogni volta un momento costruttivo .Buona giornata giovane ottantenne.

  9. Domenico, colui che dipinge e poetizza con le parole!! Leggendo questo scritto autobiografico vedo un amore sconfinato per la natura, tanto rispetto per le sue umili origini ed suoi genitori e la passione per l’insegnamento ed ogni cosa che è stato capace di fare nella sua vita! Domenico che altre sorprese ci riservi per i prossimi 50 anni??

  10. Non ho parole per descrivere le svariate emozioni vissute nel leggere il tuo racconto. Si riaccendono e ravvivano nel lettore valori basilari per la nostra esistenza, che l’epoca attuale, nel suo frettoloso disordine, tende continuamente ad offuscare. Grazie Domenico per questa condivisione. Buona Vita!

  11. Descrizione di chi ama la vita, scene lente, carezzate dai tempi difficili, genti umili, invincibili. Profumi che non sentiremo mai più. Scene che si susseguono come pennellate dando vita ad una serie di dipinti.
    Auguri Domenico.

  12. Quando scrivi, dipingi.
    Noto che recentemente sei sopraffatto dal tuo Amarcord.
    La nostalgia fa bene al cuore, ma guidare con lo sguardo fisso nello specchio retrovisore è sconsigliabile. Da parte mia confesso che più invecchio e più m’innamoro dei Miti. A volte sogno di poter scendere come Ulisse nel regno dei morti per abbracciare mio padre e mia madre ben sapendo che mi sfuggirebbero di tra le braccia come un “ soma pneumaticos “.Mi sforzo di essere più realista di un re : il nostro Essere Tempo ci colloca nell’epoca della Tecnica con i molti interrogativi etici che ci imporrà la “AI” ormai alle porte. Ti voglio bene. Ci avvicina un comune sentire.

  13. Che meravigliosa storia, Mimmo, la tua storia!
    Mi sono profondamente commossa.
    I tuoi racconti carichi di vita e di realtà, descritti con così marcata espressione artistica scatenano le più profonde e autentiche emozioni.
    Caro Mimmo, sei unico e speciale così come unici e speciali sono stati i tuoi genitori.
    La tua mamma: una forza della natura! Che donna!
    Sono onorata di aver letto la storia della tua nascita, la storia della tua famiglia, la storia che racconta da dove parte il germoglio dei tuoi valori.
    Grazie per ogni singola parola, grazie per continuare ad essere presente nella mia vita.
    Sei e sarai sempre il mio adorato professore.

    Maria Piccolo

  14. Che fascino questa narrazione condotta con taglio cinematografico! Ricorda le sequenze dei film di Ettore Scola.
    Ma la commozione arriva al lettore attraverso il filtro dell’empatia: Domenico parla facendo sua la prospettiva di sua madre e con fine sensibilità psicologica ne tratteggia le emozioni, includendo il paesaggio come partecipe attore. Lo sfondo della guerra e delle tragedie della vita sono scopite nel volto della madre ma la durezza dell’esistenza non cancella una visione sacra del vivere: anche le galassie lontane partecipano commosse all’evento. La scaturigine di una tenera e potente piccola nuova vita si descrive come una promessa di palingenesi, di buon futuro e ferma l’immagine in un palpito senza tempo, zoomando sul mistero profondo dell’essere nel mondo.

  15. L’aspetto di questo articolo che più mi ha colpito è la gratitudine che tu, Mimmo,hai avuto verso i tuoi genitori.
    Come ogni figlio sei riconoscente per i loro sacrifici che hanno fatto per permetterti di raggiungere la laurea,che ti ha permesso di eseguire una professione fissa e leggera. Naturalmente un elogio particolare merita il tuo stille di scrittura incorniciato da frase poetiche che danno un tocco di magia all’intero articolo. Bravo.

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