Non è un parto di fantasia. Non sorge in via Alice nel paese delle meraviglie, ma in via Curzio dei Mille al numero 74 in Bari, presso il Centro di Accoglienza Caritas “don Vito Diana”. È una scuola speciale. Dal 2010 offre supporto linguistico per l’integrazione migratoria. Ed è un luogo di crescita vera, in umanità. Dove la parola chiave è “volto”, e il motto da ribadire è “reciprocità”.
Quella intitolata a Igino Giordani, in Bari, è una scuola speciale. Perché improntata ad assoluta gratuità. Perché riservata ai migranti: ne favorisce l’inclusione attraverso l’apprendimento della lingua italiana. E non è pubblicizzata da alcun Open day. L’unico PON annualmente proposto è “Volti rivolti”: insegnamento personalizzato all’alterità, dotto e umanissimo insieme.
La conducono alcuni dirigenti scolastici e docenti di lettere in pensione, giovani universitari e operatori sociali che non disdegnano l’intreccio fra conoscenza e vicinanza umana. Abbecedario, grammatica e sintassi in primo piano, ma soprattutto incontro fra diversi, rispetto della persona e desiderio inclusivo a delineare il “programma”.
Ci sarebbe da non crederci, eppure è una scuola vera! In funzione dal 2010. E proprio perché fondata sul volontariato, sopravvive persino al decreto Salvini, che nel tagliare i fondi per le attività d’integrazione, ha recentemente decurtato in maniera drastica anche le risorse per l’insegnamento della lingua italiana ai migranti.
Chi frequenta il Centro “don Vito Diana” sa che di notte ospita il dormitorio per senza fissa dimora; di giorno attiva l’ala in cui si studia come gestire la coesione fra diversi. Il luogo di apprendimento è l’ambiente d’ingresso, e il piano di calpestio è il parquet di un campo sportivo coperto, dove sembra si giochino le partite decisive della vita.
I banchi sono distribuiti liberamente, senza rispettare linee perimetrali o aree di rigore. Ciò che conta davvero è la prossimità: che il docente guardi nel volto il singolo alunno; e che lo marchi stretto, nel rispetto della sua libertà. Ogni tanto è goal: quando le esperienze si fondono nel dare-avere che è arricchimento reciproco. In umanità. E sgorga la lingua che accomuna davvero, oltre Babele.
Nello stesso contenitore didattico che abitualmente ospita le lezioni, si è svolta la presentazione del libro “Le storie fanno la Storia” (Ed Insieme)*.
La pubblicazione è scritta a più mani, dagli insegnanti autoctoni e dagli alunni migranti, fuggiti a realtà di guerra o di povertà, e approdati a Bari con i loro bagagli di sogni, di ricordi, di cultura, di volontà, che ora desiderano aprire e squinternare, per narrarne il contenuto senza timori.
“Così le migrazioni non sono più un numero, ma hanno finalmente un volto – sottolinea l’editore – grazie ai maestri che abbattono i muri e costruiscono i ponti”.
Irma, Hashim, Marica, Sures, Svetlana, Hadi, Elhadj, Layla e Khalid si raccontano. Provengono da Iraq, Iran, Georgia, Moldavia, Afghanistan, Senegal e Mauritius, quasi a richiamare e impersonare le varie ondate migratorie degli ultimi anni; con, sullo sfondo, l’esodo dall’Albania verso le coste pugliesi. Chi non ricorda la Vlora nel porto di Bari, con il suo carico umano, dolente e ardimentoso insieme?
“Una differenza, rispetto ad allora – precisa Fiorella Lomartire, fra le principali animatrici della Scuola – è che i giovani albanesi in esodo riuscivano ad esprimersi in italiano, mentre gli attuali migranti non parlano la nostra lingua, anche se puoi leggere nei loro occhi i segni del dramma: tagliati fuori, veramente ultimi! Cerchiamo di colmare in parte questo gap”.
“Al di là del supporto linguistico – rincara il preside Giacomo Colapietro – l’esperienza c’insegna che se non c’è fratellanza fra i popoli, se non c’è coesione nel genere umano, e non potranno esserci eguaglianza e giustizia sociale, e neppure pace”.
Dichiara l’afghano Hashim Frough: “Sono da tre anni in Italia, arrivato a Bari dopo essere stato in Norvegia. Dall’Afghanistan ho dovuto scappare per salvaguardare la mia libertà. Lì il territorio è ancora minato. Qui, per nove mesi, non ho soggiornato in alcun posto fisso. Poi sono stato ammesso al dormitorio. Di giorno lavoricchiavo, di sera frequentavo il corso di lingua al “don Vito Diana” per conseguire la certificazione B2 d’Italiano, grazie a cui ho superato il test di ammissione universitaria a Ingegneria gestionale. A Bari ho conosciuto tante belle persone, fra cui i docenti della Scuola a cui voglio davvero bene perché mi hanno aiutato. Ho potuto prendere parte alla realizzazione di un corto sull’integrazione, sono stato protagonista del video Cardamon dei Radiodervish, ho collaborato alla mostra World Press Photo dell’artista Vittorio Palumbo…”
Dice la georgiana Irma Kokaia: “Sono in Italia per motivi economici. Per me è stato molto difficile, all’inizio. Oggi sono contenta per aver superato le difficoltà: ho imparato la lingua, ho lavorato bene, ho aiutato la mia famiglia, ho fatto nuove amicizie, ho conosciuto la mia anima, ho imparato a sacrificarmi e a offrire qualcosa agli altri, ho apprezzato i valori veri della vita: carità, pazienza, impegno, responsabilità…”
Storie come tante… direbbero alcuni, a minimizzare. “Storie da ascoltare con sacro rispetto”, osserva il direttore Caritas don Vito Piccinonna, che ribadisce la centralità della persona in tempi di deficit umano e di nemesi storica, e si complimenta con i docenti di questa realtà rimasta a lungo nascosta, ma che ora brilla per capacità di accoglienza e operosità. Costituita da “artigiani di pace”.
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*Rosanna Braghetta, Giacomo Colapietro, Francesca Dinapoli, Vito Fioretti, Elisabetta Fresa, Fiorella Lomartire, Doriana Memeo, Maria Vuozzo, Le storie fanno la storia, 80, ill., Ed Insieme, 2018, ISBN 978-88-7602-295-1.