Lo strumento principale del sistema di “lavaggio del cervello in regime di libertà”, che raggiunge la forma più alta nel paese più libero, consiste nell’incoraggiare il dibattito sui problemi politici, costringendolo però entro presupposti che incorporano le dottrine fondamentali della linea ideologica ufficiale.

(Noam Chomsky)

La domenica il telefono non dovrebbe mai squillare rimandando nomi di colleghi. In effetti non capita sovente, spero per voi, ma a volte succede.

Domenica pomeriggio, di ritorno da una splendida località di montagna, il telefono squilla: “Silvia Villa”.

  • Mah!

Chi è Silvia? La collega d’inglese che da tempo mi studia e “mi prende le misure”: me ne sono accorta da un bel po’ e la cosa mi ha sempre fatto sorridere.

Ha circa sessant’anni, sarà alta un metro e mezzo ad esser buoni, capelli rossicci e sempre un po’ arruffati, occhiali all’occorrenza calati a mezzo naso, sportiva anche quando veste elegante, rustica e gaudente quando si tratta di cibo, profondamente ossolana con una caratteristica tipica della gente del luogo: la mancanza di astuzia, ovvero, l’assenza della furbizia intesa nel senso negativo del termine.

In soldoni è una “buona”, schietta, onesta e, nel suo caso specifico, una che “si dà una mossa”.

Non sta mai ferma, è una scheggia, di nome e di fatto: le scale a piedi, le corse nei corridoi, l’orto della scuola, le gite su per i monti, l’idiosincrasia per la tecnologia e per sé stessa che assolutamente deve utilizzarla senza bisogno di nessuno e, per esempio, un giorno, La Scala di Milano con l’ Elisir d’Amore di Donizetti.

Sì, abbiamo portato i nostri bambini a vedere l’opera. Allora non fui stupita nello scoprire che era iniziativa sua, ma lì iniziai a capire perché aveva tutta quella voglia di studiarmi.

Compresi, compiacendomene, di aver incrociato uno strano e strampalato esserino multitasking, che era riuscito ad andare un pochino per il sottile e si era fatto delle domande sulla mia persona, pur senza mai rivolgermene una.

Nel rispetto di quella curiosità, nel tempo ho cercato di risponderle, o meglio, di darle modo di trovare le risposte che pensavo cercasse.

Ed ecco che mi sono ritrovata sommersa da libri di arte con la proposta di un progetto interdisciplinare fra l’inglese e la religione cattolica, per mezzo delle arti figurative.

  • Cioè, Silvia, stai sfondando una porta aperta!

E poi mi ha telefonato di domenica pomeriggio, semplicemente per dirmi che stava leggendo un articolo, che me lo avrebbe portato l’indomani mattina a scuola perché io ne facessi una copia e lo leggessi. Secondo lei si trattava di uno scritto fatto per me.

Quindi, “niente”, leggendo mi aveva pensata. E già questo, permettetemi, è un onore (nonché un onere) se succede con qualcuno per cui nutri una certa stima.

L’articolo è un pezzo di Umberto Galimberti (La Repubblica) che, rispondendo ad un lettore, così si esprime: «Il suo rifiuto a riconoscere i diritti LGBT (…) le deriva, lei dice, dal fatto di essere cattolico. Ma per essere cattolico lei deve prima di tutto essere un cristiano, il cui primo comandamento è: “ama il prossimo tuo come te stesso”, che non vuol dire “voler bene all’altro”, ma farsi “prossimo dell’altro”, anche se distante dai valori della propria comunità di appartenenza, come fa il samaritano quando soccorre l’uomo rapinato (…) o come fa Gesù quando si fa prossimo alla prostituta salvandola dalla lapidazione. (…) Spesso i cattolici sono più vicini ai principi della loro dottrina che alle persone che incontrano per la via, dimenticando che Gesù è venuto a salvare non i principi, ma le persone (…) Quanto ai valori, questi non sono entità eterne o metafisiche che scendono dal cielo, ma semplici coefficienti sociali che una società adotta perché li ritiene, di epoca in epoca, i più idonei a ridurre la conflittualità. Nell’antichità greco-romana gli omosessuali erano riconosciuti al pari degli altri. Nel Medioevo erano tollerati, mentre a partire dal Concilio di Trento, oltre a non essere tollerati, furono anche perseguitati, con l’avallo della scienza che trasformò quello che per la religione era un peccato, in malattia (…) L’Italia nella sua Costituzione, all’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”. Come vede i valori mutano con il tempo. Se non accadesse saremmo ancora all’età dei babilonesi. (…) Non è cristiano chi, per difendere i valori della dottrina cattolica, considera, come lei dice, “assolutamente estranei” gli LGBT. Gesù non ha considerato estranea la prostituta che la salvato dalla lapidazione”».

Senza aggiungere una sola parola a quanto testualmente citato, io oggi vorrei ringraziare Silvia, che poco mi conosce, per avermi capita così profondamente da avermi  pensata mentre leggeva questo articolo, da aver scelto di dirmelo (la qual cosa, c’è da crederci, è solo per i coraggiosi – “pensarsi e non dirselo è maleducazione”), ritenendo che avrei fatto quello che in realtà ho, poi, realmente ed istintivamente fatto: sorridere.

E ringraziare tutti quelli come lei (tutti? Pochi, pochissimi, “pocherrimi”, Nessuno?) che conoscono le dottrine, ma si mettono a leggere pazientemente le persone, poiché, evidentemente, sono quelle ad attirare la loro attenzione, al di là di ogni principio che, invece, porta con sé sempre e solo il più grande dei delitti: l’abbandono. (Di principio quegli altri si nutrono, per ottenere soltanto che il loro stesso principio uccidono, come il gatto che si morde la coda).

Diversamente, a causa (o per merito) del mio ermetismo di fondo, a questo giro, come nella maggior parte dei giri, non sarei stata riconosciuta e forse non mi sarei così tanto soffermata, a mezz’ora dal prossimo collegio docenti, su un post di facebook: “ci hanno fregato da piccoli, quando ci hanno insegnato a colorare nei margini!”.


FontePhotocredits: libera reinterpretazione pixabay.com di Myriam Acca Massarelli
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.