Oggi l’Europa sembra vacillare di fronte alle grandi sfide del nostro tempo. Ma la cosa più drammatica è che l’Europa da anni ha come smarrito la capacita di narrare se stessa e i suoi successi.

Sono trascorsi 60 anni dalla nascita della nostra attuale Unione Europea (Ue). Dalle macerie e dal sangue di due terribili guerre è nato un lento ma inesorabile progetto di integrazione che ha coinvolto centinaia di milioni di donne e di uomini, fondato su un’idea da far venire il capogiro: creare un luogo dove individui diversi per tradizioni, culture e religione fossero uniti da una stessa lingua, lavorassero in un unico mercato e utilizzassero la stessa moneta. Un progetto di pace che ha finalmente allontanato dal nostro Continente gli orrori delle guerre.

Il percorso fatto è stato certamente accidentato, e l’idea di una Federazione di Stati europei ha spesso pagato dazio di fronte alla resistenze “sovraniste” degli Stati membri e al pensiero, mendace, che i singoli Paesi potessero resistere alle forze di un mondo sempre più interdipendente e connesso.

Oggi l’Europa sembra vacillare di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, dal terrorismo alla polarizzazione sociale, dai flussi migratori al mutamento climatico. Ma la cosa più drammatica è che l’Europa da anni ha come smarrito la capacita di narrare se stessa e i suoi successi: pensiamo al supporto indispensabile che l’Ue dà alla ricerca, ma anche alla possibilità di spostarsi a poco prezzo da un capo all’altro del Continente con i voli low-cost, o al programma Erasmus, che da anni consente a centinaia di migliaia di ragazzi di studiare e vivere all’estero.

L’unica vera ricetta possibile è riprendere quel percorso che oggi più che mai appare terribilmente incompleto. L’Europa e i suoi leader politici devono fare un salto di qualità. L’integrazione non può limitarsi più solo al settore bancario e finanziario. Ci vuole un’unione politica, che parta da un nucleo di Paesi ancora desiderosi di spiccare questo (apparentemente) folle volo e che poi coinvolga un gruppo più ampio di Stati.

L’Ue deve avere una politica economica e fiscale comune vera, deve eliminare le barriere che impediscono la completa realizzazione di un mercato comune; deve elaborare politiche che riducano le terribili disuguaglianze sociali che affliggono le nostre società; deve avere una vera politica migratoria che sappia gestire e integrare i milioni di individui che bussano disperatamente alle nostre porte con razionalità, senza farsi prendere dalla paura e dalla xenofobia. L’Ue deve infine avere una sua politica di sicurezza e difesa che sappia proteggere i suoi cittadini e garantire un ordine globale pacifico. La lista delle cose da fare è quindi ancora lunga ed è per questo che bisogna rimboccarsi le maniche tutti insieme.

L’Europa e gli europei devono tornare ad essere fieri delle loro conquiste e di fronte a chi vede nella chiusura e nei muri l’unica soluzione ai mali del nostro tempo, l’Ue deve saper proporre soluzioni inclusive ed efficaci. La Brexit e l’elezione di Trump sono state una doccia gelata, ma paradossalmente costituiscono un’opportunità unica per tutti noi e non va assolutamente sprecata. L’Europa ha tutte le risorse economiche e soprattutto umane per continuare a rappresentare un modello di sviluppo per il mondo intero. Ed è per questo motivo che tutti noi oggi marciamo!

 


FonteFirma dei trattati di Roma - 1957 (wikipedia.org)
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Daniele Fattibene è un giovane ricercatore della…conoscenza! Mezzosangue apulo-lombardo, napoletano di adozione ed Europeista convinto (e un pò disilluso) è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Napoli (L'Orientale) prima e Forlì (Alma Mater Studiorum) poi. Si occupa di questioni di sicurezza europea con un interesse particolare verso i Paesi dell’Europa dell’Est. È come tutti noi un Ulisse 2.0, un cittadino del mondo amante delle lingue straniere, del viaggio, dell’ignoto e delle verità “scomode”. Collabora con diverse riviste e magazine online tra cui "AffarInternazionali", "EastJournal", "Social Europe" e "Reset". Lavora presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma. Twitter @danifatti