Liliana Segre ha detto agli studenti di ”trovare un minuto per stare con noi stessi”.

20 gennaio 2020 Liliana Segre parla agli studenti nel teatro degli Arcimboldi di Milano. Io resto in silenzio ad ascoltarla e dai miei occhi scendono le lacrime come se in quel momento a raccontare fosse mia nonna, perché la senatrice Segre ha la capacità propria di chi ti parla con il cuore, con la dolcezza di quello sguardo che chiede ai giovani del futuro di avere il coraggio della pietas, quella pietas latina che lei non ha visto negli occhi di nessuno, se non di pochi amici e, cosa quasi impensabile, negli occhi dei detenuti del carcere di San Vittore, che dalle celle lanciavano sciarpe, pane, arance e dicevano parole di conforto e coraggio ai poveri futuri deportati verso quel viaggio ignoto che negli anni a seguire sarebbe diventato nella memoria dell’umanità l’inferno di AUSCHWITZ.

Essere prigionieri della propria vita, essere prigionieri solo per essere nati. Essere uccisi nelle forme più disparate, ma prima ancora essere allontanati dalla vita civile: il lavoro, la scuola, leggere” gli ebrei non possono entrare”. Io non so come sarebbe la mia vita se mi separassero dagli affetti e se mi impedissero di fare quello che fino al giorno prima facevo.

Che si prova davanti al mutismo di una città, Milano degli anni ’40, che restava indifferente e incapace di scegliere quale fosse il bene?

In quegli stessi anni in un’altra regione, la Toscana, un uomo famoso ma semplice ed umano nello stesso tempo, il ciclista Gino Bartali, bloccato a causa della guerra, per il suo giro d’Italia, resta umano verso gli ebrei, che erano stati privati di tutto.

Gino Bartali, con il suo coraggio, fingeva di allenarsi per passare inosservato davanti ai controlli dei fascisti, trasportando nel telaio della sua bicicletta i documenti falsi degli ebrei e salvando moltissimi di loro senza mai farne parola con nessuno: “il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”, così dirà Bartali a suo figlio.

Liliana Segre ha detto agli studenti di ”trovare un minuto per stare con noi stessi”.

Quel silenzio la senatrice Segre l’ha ascoltato nel vagone merci nel quale è stata deportata, e il silenzio fa un rumore terribile, soprattutto quando si trasforma in indifferenza.

In quel vagone del 6 febbraio 1944 pieno di 605 povere vittime tornano alla vita solo in 22.

Ed oggi si ricorda tutto quello che è stato.

Restare umani, restiamo umani, non chiudiamo gli occhi davanti alla vita, non restiamo in silenzio davanti alle atrocità, oggi possiamo farlo, possiamo essere coraggiosi.

Viaggiamo sulla bicicletta della vita pedalando con il coraggio di Gino Bartali e la forza di Liliana Segre, pronta a ricominciare senza odio ma con la grande forza dell’amore mettendo in una piccola valigia l’essenza più profonda della vita.

Non dimentichiamolo mai, non dimentichiamo mai chi è tornato e cogliamo il ricordo della memoria, quella memoria che come insegna la senatrice Segre, ci rende liberi.


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Nata ad Andria il 28 agosto 1985. Laureata in lettere moderne con indirizzo filologia moderna presso l'Università degli studi di Bari il 21 luglio 2011, abilitata all'insegnamento presso l'Università degli studi di Bari il 21 luglio 2015. Docente di lettere presso scuola secondaria di 1^ grado. Amante del teatro, di cinema, delle letture interiori e profonde che ti arricchiscono. A scuola cerca di essere una professoressa moderna ed aperta al dialogo costruttivo con i suoi ragazzi, non dimenticando mai l'importanza dell'educazione ed istruzione per una società migliore.