Lo sguardo su un mondo più giusto di un ricercatore 28enne

Il 25 gennaio 2016 Giulio Regeni spariva a Il Cairo. Otto giorni dopo, il 3 febbraio, il corpo del 28enne ricercatore friulano veniva ritrovato senza vita poco lontano dalla capitale egiziana, sulla strada che porta ad Alessandria d’Egitto. Fin da allora la famiglia di Giulio e le autorità italiane non hanno mai smesso di chiedere alle autorità egiziane di fare luce su questo atroce omicidio. La battaglia dei genitori, dignitosa ma ferma, è diventata presto l’impegno di tutta la società civile italiana.

Dall’autopsia sul corpo del ragazzo è emerso che prima di morire Giulio fu barbaramente torturato e che la causa della morte fu, molto probabilmente, la rottura di una vertebra del collo causata da torsione violenta della testa.

È di questi giorni la diffusione di immagini esclusive che ritraggono Giulio mentre parla con Mohamed Abdallah, capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti e informatore della polizia del Cairo, che lo filma di nascosto, presumibilmente non con un cellulare ma con una microcamera. Abdallah prova a farlo passare per un sobillatore, la sua colpa sarebbe quella di fare troppe domande, ma Giulio nel video gli risponde di essere solo un ricercatore.

Solo oggi, dopo depistaggi e accuse infondate che Giulio fosse una spia dei servizi britannici, i p.m. egiziani cominciano a collaborare. Forse il momento della verità si avvicina.

Ma perché Giulio Regeni era in Egitto? E in cosa consistevano le sue ricerche?

Al momento della sparizione, Regeni studiava al Girton College di Cambridge e si trovava a Il Cairo per una ricerca accademica sui sindacati indipendenti egiziani, che notoriamente non hanno un buon rapporto con il governo di Al Sisi.

Per rispondere alla seconda domanda e capire le sue ricerche, qui un estratto di uno scritto risalente al 2012 che gli valse il premio “Europa e giovani” al concorso internazionale organizzato dall’Istituto regionale studi europei.

“Gli sviluppi seguiti alle primavere arabe impongono una riconsiderazione del ruolo che l’Unione Europea (UE) dovrebbe giocare nelle sue politiche verso il Nord Africa, viste le vicinanze culturali e geografiche che da sempre accomunano le due sponde del Mediterraneo. In tal senso, l’Unione europea potrebbe svolgere una funzione strumentale nel supportare un modello di sviluppo che tenga in considerazione i grandi cambiamenti in corso nella regione. Leggendo i working papers divulgati dalla Commissione Europea negli ultimi anni, risulta chiaro che l’Europa stia portando sempre maggiore attenzione al Nord Africa per mezzo della propria Politica europea di vicinato e di vari progetti di cooperazione allo sviluppo, stilati per rispondere alle esigenze più impellenti dei popoli egiziano e tunisino. Tuttavia, ora che una finestra di opportunità si è aperta per una democratizzazione reale della regione, l’UE dovrebbe assistere questi Paesi non solo attraverso politiche di alleviamento della povertà ma anche garantendo loro una piena indipendenza economica, che vada al di là delle interferenze occorse in passato da parte dei grandi istituti finanziari. Il percorso storico delle recenti rivolte in Tunisia ed Egitto rivela quanto i processi di partecipazione e contestazione popolari siano riconducibili alla trasformazione del ruolo dello Stato nel corso del tempo, e soprattutto al suo abbandono delle fasce più vulnerabili della popolazione. Un elemento che emerge con forza è l’aspirazione del popolo nordafricano ad ottenere conquiste quali la giustizia sociale e la democrazia, soffocate sin dall’era della decolonizzazione dai regimi autoritari. Il momento attuale di ridefinizione degli equilibri sociopolitici del Mediterraneo offre la possibilità di correggere le asimmetrie di potere presenti nella regione che ne limitano lo sviluppo, attraverso un nuovo patto sociale tra le istituzioni ed il popolo che renda il Nord Africa finalmente libero da ingerenze esterne e dittature interne. Con tali considerazioni ben chiare, l’UE dovrebbe cogliere quest’opportunità per correggere tali asimmetrie di forza, in virtù della propria posizione strategica e del suo retaggio culturale. Ciò prevederebbe necessariamente la riconsiderazione di quelle riforme neoliberiste che hanno avuto un effetto così negativo sulla popolazione araba, ai fini di ridarle una maggior autonomia decisionale. La posta in palio è molto alta: si tratta di decidere se il futuro del Mediterraneo sarà di convergenza o di conflitto, di prosperità condivisa o di decadimento. La capacità che l’UE ha saputo finora dimostrare nell’unire popoli in conflitto lascia sperare che la scelta sarà ben ponderata” (Fonte: RAdio3).