Riflessioni sulla questione dei vestiti di carnevale

Carnevale, per quanto mi riguarda, è la festa più misteriosa e affascinante fra quelle da sempre in circolazione. È una festa che fa leva su un sentimento profondamente radicato nell’essere umano: quello di provare a essere qualcun altro. È una ricorrenza cruciale per i bambini, non vedono letteralmente l’ora che arrivi, altro che Natale o Pasqua. Crescendo, man mano, il desiderio di prendervi parte per molti si attenua, uno col passare del tempo si rassegna ad essere se stesso, ma da piccoli no. Un bambino percepisce distintamente la sua inadeguatezza rispetto al mondo, ecco che appena gli viene offerta l’occasione chiede un vestito di carnevale e si trasforma.

Ora però, chiedere un vestito di carnevale è più facile a dirsi che a farsi, almeno nel posto da dove vengo io. Quand’ero piccolo, ogni anno, in vista del carnevale, dicevo a mia madre da cosa mi sarebbe piaciuto mascherarmi e ogni anno, eccetto uno forse, la mia richiesta veniva ignorata. Io le dicevo di volermi vestire da D’Artagnan e lei “ma come? Hai il vestito di Arlecchino, è così bello!”. L’anno dopo io le dicevo da pirata e lei “ma come? Hai il vestito di Arlecchino, è così bello!”. L’altro anno ancora io le dicevo da tartaruga ninja e lei “ma come? Hai il vestito di Arlecchino, è così bello!”. Insomma per 4 anni di fila mi sono vestito da Arlecchino. “Ma poi chi caa…volo è sto Arlecchino” dicevo fra me e me sull’autobus che mi portava all’asilo. Oggi, nei giorni di carnevale, quando incontro bambini vestiti da Arlecchino, mi viene voglia di abbracciarli e dar loro coraggio, ci sono passato anch’io, passerà anche per te.

Mia madre comunque non si comportava così per una forma particolare di sadismo, lo faceva per convenienza. È un tipo di ragionamento comune a molte mamme del Sud, delle altre parti non saprei. Il fatto è che i vestiti di carnevale, comprati nuovi, nei negozi specializzati, costano parecchio. Sono vestiti che vengono usati poi 3 giorni in un anno, poi 3 giorni l’anno seguente, e poi diventano stretti data la crescita del bambino, dunque inutilizzabili. Ecco che la mamma pensa “se devo spendere ‘sti soldi per sta cagata, tanto vale gli compro le scarpe che gli servono, il vestito di carnevale chiedo se ce l’ha qualche cuginetto ormai cresciuto che non lo usa più”.

Figurarsi poi, il cuginetto cresciuto che ormai non lo usa più si trova sempre fra le decine di cugini che ciascun bambino ha, nel posto da cui vengo io. Il cuginetto lo presta e il tuo destino è segnato per almeno 4 o 5 anni. Il primo anno ti va larghissimo, 4 risvolti sia ai calzoni che alla maglia. Il secondo anno ti va largo, 2 risvolti. Il terzo anno ti va giusto, è un anno che te lo godi quello, sembra quasi che l’abbiano comprato davvero per te. Il quarto anno ti va stretto, spunta il maglione sottostante dalle maniche del costume. Il quinto anno ti va strettissimo, oltre al maglione fuoriuscito dalle maniche, c’è il fastidio alle parti basse causa cavallo dei pantaloni troppo alto. A quel punto la mamma si convince e chiede ai cuginetti un vestito per i successivi 5 anni. Solo in caso – raro – d’irreperibilità di questo chiede alla nonna di fabbricarne uno comprando lei la stoffa. Solo in caso poi venga fuori veramente brutto procede all’acquisto in un negozio. Capite bene allora che i vestiti di carnevale, nel posto dal quale vengo io, non si comprano, ma vengono tramandati, e mascherarsi dall’uno o dall’altro personaggio è una fatto di stirpe, non di gusto.

Ho sempre invidiato molto chi è nato in famiglie in cui ci si è tramandati vestiti di Superman o di Zorro. Io ho fatto 4 anni vestito da Arlecchino e 4 anni da ninja, nonostante il secondo periodo sia stato indubbiamente più felice del primo, il bilancio generale direi che non sia troppo soddisfacente. Mi consola il fatto che ad amici che hanno avuto la fortuna di vestirsi da supereroi, non sia andata poi molto meglio. Alla base di tutto sta il problema che nel mascherarsi per carnevale si consuma un passaggio fondamentale della vita di un uomo. Il bambino che si maschera è convinto che una volta indossato il vestito poi sarà egli stesso quel personaggio, si accorge però presto che ciò non avviene, così rimane deluso. Quella delusione è data precisamente dalla consapevolezza che la sua persona non è all’altezza del personaggio che avrebbe voluto essere. Che il vestito non basti o che l’abito non faccia il monaco, il bambino lo impara in quel momento. Poi alcuni se lo dimenticano, o non ci danno peso, ma il passaggio avviene per tutti.

Del resto ti vesti da Spiderman e dai polsi non fuoriesce nessuna ragnatela. Provi a fare un salto per arrivare sulla cima del grattacielo e a malapena sali sul gradino. Fai i pugni in segno di minaccia e ti battono il cinque. Oppure ti vesti da Zorro, fai la zeta con la spada sulla maglietta di tuo fratello, e ti accorgi che non taglia niente. Ti metti i baffetti finti e si staccano ogni tre minuti. Ti metti la mascherina e sbatti contro alberi e pali perché i buchi degli occhi sono uno ad altezza naso e l’altro sulla tempia. Le bambine pure si vestono da principesse e nessun principe arriva a salvarle, per attraversare la strada devono dare la mano al padre. La corona che cade continuamente sugli occhi, i pantaloni della tuta sotto l’ampia gonna di raso, strascico e merletti.

Sommate tutte queste frustrazioni, ecco che i maschietti arrivano a 10 anni che sono tipi completamente antisistema. È a quel punto che nella loro testa si fa largo l’idea di vestirsi da teppisti. Nel posto da cui vengo io è una cosa che fa un numero considerevole di ragazzini non appena raggiunta l’età per uscire da soli. Per molti è liberatorio perché per tutto l’anno è vietato fare i cattivi, o per farlo bisogna nascondersi, invece a quel punto lo dichiari apertamente a tutti: sì, sono un teppista. Poi non è che ti comporti veramente male, è solo un atteggiarsi. Basti osservare cosa prevedere la divisa da teppista per capire che chi decide d’indossarla non ne ha mai visto uno vero.

Dunque jeans strappati in malo modo e scritti con il pennarello. Fra le scritte più comuni la A di anarchia, il simbolo della pace, il teschio con le ossa incrociate e la svastica quasi sempre fatta male, con gli uncini disegnati nel verso sbagliato. Giubbottino, anch’esso di jeans, con maniche strappate e sfrangiate. Bandana. Un paio di cicatrici sulla guancia e sulla fronte disegnate con la matita per gli occhi della propria madre. Siringa disegnata sul braccio, come a dire sono un drogato e me ne vanto. A coronare il tutto qualcosa di contundente fra le mani, ad esempio una mazza o un manganello costruito artigianalmente, oltre all’immancabile bomboletta di schiuma.

A quel punto ci si riunisce in gruppo e si gira per le strade come una vera e propria banda. All’inizio il pensiero è tutto rivolto ai potenziali reati da compiere in quanto teppisti, ma le opzioni si rivelano da subito abbastanza limitate. Qualcuno da un calcio a un cestino della spazzatura, poi spruzza la schiuma sul muro o su qualche ragazzina che passa di lì. Un altro chiude lo specchietto di un’auto parcheggiata, un altro ancora citofona a uno sconosciuto e scappa via. La cosa più appagante tuttavia – il vero motivo per cui ci si veste da teppisti – è lo sguardo degli altri. Quando girando s’incrociano i bambini di qualche anno più piccoli, ancora accompagnati dai propri genitori, l’ammirazione nei loro occhi è davvero troppa per non essere percepita, e ripaga di tutto. Si tratta di sguardi fugaci che s’incontrano. Gli occhi dei teppisti dicono “brutti sfigati vestiti coi costumi tramandati che neanche funzionano, ammirate quant’è bello essere grandi e cattivi”. Lo sguardo dei più piccoli dice “preparati madre, l’anno prossimo io avrò quella siringa disegnata sul mio braccio e tu potrai farci veramente poco”.


1 COMMENTO

  1. Uno che si rassegna ad essere se stesso è solo perché si nega. Un uomo, in quanto tale, ha un cervello che “funziona” e non lascia mai che la sua natura dell’esser propria, si confonda o si mescoli con quella degli altri poiché ognuno di noi è un mondo a sé. E fino a qui io intendo di persona adulta mentre in un ragazzo o in una persona di giovane età può nascere l’aspirazione ad essere un qualcuno altro che fino allora rappresenti un modello di suo gradimento, ma nulla di più: sarà l’esperienza praticata a renderlo cosciente di quanto sia importante essere se stessi…carneval piacendo. Comunque ho trovato piacevole leggere l’articolo: complimenti!

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