Metropolitana di una grande città. Mattino presto. Troppo presto. Per i più è già tardi… sono in ritardo, o meglio, si sentono in ritardo. Con lo sguardo rivolto sullo stesso invisibile sentiero che, meccanicamente, ogni giorno i propri piedi pestano – eppure sembra vuoto, lo sguardo – corrono verso la banchina.

Non superare la linea gialla.
Le cuffie funzionano bene. Ottimo schermo protettivo da ciò che ci circonda.
Allineati come birilli, immobili, sporadicamente alzano lo sguardo per vedere quanti minuti e secondo li separano dall’arrivo del treno.
Next stop…
Cosa stanno pensando? Cosa STIAMO pensando? Anzi: STIAMO PENSANDO?
Non ti guarda più nessuno negli occhi. Quando lo fai sembra quasi violazione della privacy. O sei un maniaco? Meglio perdere di nuovo lo squadro.
Il prossimo treno per… Mancano trenta secondi circa. La fila umana, all’unisono volge lo sguardo verso la propria sinistra. Ma cosa…?
Sol – Mi – Do. Un accordo maggiore suonato in maniera discendente. Tre note limpide riempiono l’aria condizionata della stazione.
Come diavolo hanno fatto a sentire il Sol – Mi – Do i tanti ragazzi con le mega cuffie all’orecchio?
Non so perché ma questa scena mi ricorda gli avvisi dei bombardamenti aerei della seconda mondiale. Allora, dopo la stridente sirena, tutti correvano nei bunker. Qui sono immobili, con gli occhi fissi verso la sorgente sonora del tritono. Ma da dove proviene? Immobili. Non corrono. Ah, sì! Solo col segnale luminoso attivo, abbandonare immediatamente la stazione. Non c’è nessun segnale luminoso. Lo avrebbero visto sicuramente. Parte una voce metallica, decisa, tranquilla, tipo quella che avvisa i passeggeri della differenza tariffaria tra biglietti urbani ed extraurbani:
Si informano i signori viaggiatori che le linee uno e tre sono momentaneamente ferme a causa di un suicidio nella stazione centrale. Per consentire il recupero del corpo e gli accertamenti giudiziari del caso, la circolazione dei treni è momentaneamente sospesa. Ci scusiamo per il disagio. Grazie.
La mia prima reazione: mi guardo intorno. Sono in ansia.
La loro prima reazione: guardano l’orologio. Qualcuno, addirittura, si toglie gli auricolari dalle orecchie. Altri corrono – in maniera composta – verso l’uscita, scavalcando anche i tornelli (in barba della riconvalida del biglietto. Incivili!).
Un urlo di rabbia fa girare tutte le teste verso la direzione opposta, quella da cui dovrebbe, prima o poi, arrivare il treno.:
Di nuovo? È già il terzo in questo mese!
Molte teste annuiscono convinte. Dall’altro lato della stazione, si sente riecheggiare:
Perche cazzo ha scelto questo momento? Dico io: la gente non sa che ci sono persone che lavorano? Ma vaff…
Mi sento perso. Mi gira la testa. Quasi vomito. È la prima volta che vivo una situazione del genere.
Ho bisogno di uno sguardo, di un viso di una persona nel quale rifugiarmi, almeno per un istante.
Forse lo trovo in quello di una signora anziana. È qui vicino a me. Ha appena scollato gli occhi dal suo smartphone, sul display del quale lampeggiava un grande orologio digitale.
È appena passato un minuto dal momento in cui sarebbe dovuto passare il treno. La signora sembra che mi sorrida, e mi dice:
Assurdo, vero? La gente è proprio matta.
D’istinto annuisco timidamente. Ma non ho capito. Chi sarebbero i matti?
Passa un altro minuto. Due minuti fa sarebbe dovuto essere qui un treno per portarci alle nostre mete. Ma non c’è. La stazione, magicamente, ha dimezzato il numero di pendolari. Hanno optato per altre soluzioni. Non ci si può fermare, per nessun motivo.
Tre minuti. Quattro minuti. Ecco di nuovo il tritono al contrario Sol – Mi – Do. Strano, perché, di regola, l’accordo maggiore è associato all’idea dell’allegria, della gioia, da chi studia musica.
È al contrario, quindi dovrebbe essere triste. Segue la voce, la stessa di cinque minuti fa.
Avvisiamo i gentili viaggiatori che la circolazione riprende regolarmente. Ci scusiamo per il disagio. Buon viaggio.
Il mondo si è fermato per cinque minuti. Per qualcuno – un pazzo? – si è fermato per sempre.
Riecco il tritono. Al contrario. Stesso accordo. Mi chiedo, mentre salgo – anche io di corsa – sul treno appena arrivato:
Ma di che sinfonia fanno parte?


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Antonio Mario De Nigris (Andria, 7 gennaio 1981), laureato in Filosofia e Scienze Religiose, è docente di Religione Cattolica nella diocesi di Milano. Musicista (bassista e contrabbassista) è l’autore del fortunato Tributo a Giorgio Gaber, portato in giro per tutta la puglia con la band I goganga. Collabora stabilmente con il mensile diocesano Insieme e con la Rivista Diocesana Andriese. Ha curato la pubblicazione dei seguenti volumi: Riscopriamo la vocazione dei laici nella Chiesa e nella Società, oggi. Atti del Convegno Ecclesiale Diocesano, Andria 21 -22 ottobre 2010 (Andria, 2011); Educare, Impegno di tutti. Educare nella Famiglia, nella Scuola e nella Società. Atti del Convegno Ecclesiale Diocesano, Andria 10 –11 novembre 2011 (Andria 2012); Disabilità e Sessualità. Prospettive di indagine. (EtEt edizioni, Andria 2012).