Non si era mai visto nulla di simile, neanche nella famigerata Prima Repubblica

Caro Direttore,

quando la vita si complica, tocca prenderla alla larga, ma senza fare sconti. La lingua batte, e dunque mi accosto al groviglio che è diventato questo governo gialloverde, Lega-Stellati. Chiunque sia in buona fede, anche fra analfabeti e popolo furente, non può negare che i Nostri eroi tengono in piedi questo simulacro di governo che è l’espressione del loro Potere. A sentirle i loro capi e capetti, si capisce senza fatica che gialli e verdi non sono d’accordo su nulla. Piccolo elenco: Tav, trivelle, reddito di cittadinanza, autonomia delle Regioni. Quattro questioni che pesano sui bilanci dello Stato e sul futuro del Paese. Poi ci sono le questioni di principio: gli immigrati ad esempio, dove ognuno di loro, a cominciare dai Ras Di Maio e Salvini, hanno opinioni diverse che vanno dall’umanesimo di Fico all’antisemitismo di Lannutti. Insomma, una sorta di caravanserraglio. L’unica ragione che tiene insieme questo esercito è il Potere.

Non si era mai visto nulla di simile, neanche nella famigerata Prima Repubblica, quando i governi cadevano regolarmente in presenza di differenze politiche serie, ma davvero serie: politica estera, scelte economiche, Stato-privato, Europa. Insomma i governi duravano poco, ma il sistema politico ha retto per mezzo secolo. I partiti non erano un misto fritto di istanze confuse e sommarie: c’erano i cattolici, i socialisti, i comunisti, i liberali. Ma quelle che adesso vengono spregiativamente bollate come èlite avevano testa e avevano a cuore le sorti del Paese. E avevano anche un ruolo nel lavoro, nelle professioni, nella società. Non era un branco di arruffapopolo, come le bande di Di Maio e di Salvini, gente senz’arte né parte nella vita, tranne alcune eccezioni. Queste sono le nuove èlite alle quali il popolo ha consegnato il Paese, che è diventato un oceano di invidie e di odio razzista. Ogni giorno ce n’è una.

Prendete la storia ultima dell’ennesima nave bloccata, al largo di Siracusa questa volta. Un gruppo di disgraziati, prima torturati in Libia e adesso costretti a restare lontano dal porto, in condizioni umane e medicosanitarie orrende. Il Truce con la felpa, ministro dell’Interno, che ordina la chiusura dei porti, cosa che non può fare secondo le regole internazionali. Pensateci un attimo: 47 disgraziati che sarebbero un pericolo per l’Italia. Ci sarebbe da ridere, se non fosse una tragedia. No anche alla Chiesa, che vuole ospitare i minori, dopo che Salvini è stato ricevuto dal cardinale Becciu, entrando in Vaticano dalla porta di servizio peggio di un clandestino, alla ricerca di convincere il Papa, addirittura! …Chiamate l’ambulanza! E Di Maio che vuol portare i profughi in Olanda, perché la nave Ong batte bandiere olandese: deve scegliere se in pullman, in treno o in aereo …Chiamate un’altra ambulanza! In questo teatrino fa irruzione il processo a Salvini davanti al Tribunale dei ministri, con Di Maio che un giorno dice no e un giorno dice sì all’autorizzazione.

Un governo serio, su questo pasticcio, sarebbe caduto da tempo, e il Paese sarebbe stato chiamato alle urne. Dice che però Salvini aumenterebbe i consensi perché il popolo è con lui. Bene. Allora la conta sia fra chi è ostaggio di Salvini e chi no. Chi è razzista e chi non lo è. Chi vuole isolare il Paese dall’Europa e chi no. Chi vuole che i propri figli abbiano un futuro nel mondo e chi no. Il popolo vuole i razzisti e gli antisemiti? Bene. Faccia come crede, ma non in mio none, si parva licet e se Camilleri permette. Tanto poi si sa come finisce. Sarà quello stesso popolo a fare giustizia, a tempo scaduto e a Paese sfasciato, in un bagno di sangue umano e civile. Tanto, alle élite vere, quelle finanziarie ed economiche, non cambia molto. Pagheranno di nuovo i poveracci. Chi glielo spiega a questi quattro scappati di casa?


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).