Del celeberrimo drammaturgo e autore inglese si è detto di tutto e spesso le nozioni biografiche non contano molto – anche perché piuttosto sciatte e fumose – se quel che ci resta sono le sue meravigliose opere. E bisogna dire che questo è un fatto. Ma se a essere messo in discussione è proprio il frutto della sua ispirazione? Allora la lente con cui si guarda al grande William cambia, e non di poco. Queste, si badi bene, sono ipotesi, formulazioni che fanno capo a una materia delicata e ibrida: la storia che si unisce ad alucne teorie fascinose, ma tutte ancora da dimostrare, per le quali il drammaturgo inglese non avrebbe scritto di suo pugno le sue opere.

Parte della storia inizia con un certo Michele Agnolo – Michelangelo – Florio, che di madre fu Scrolla-Lanza, religioso, predicatore e teologo italiano della metà del ’500, dal credo piuttosto ballerino: nato da una famiglia ebrea, passò alla volta del cristianesimo come frate francescano e poi si convertì al protestantesimo. Stessa cosa dicasi per i luoghi in cui ha vissuto: isole Eolie, Messina, Venezia, Verona, Stratford e infine Londra. Il luogo natio pare fosse Lucca, ma poco si sa a riguardo.

Oltre alla sua dedizione per la missione religiosa, il Florio fu anche autore di commedie e tragedie ambientate nei luoghi in cui sostò; grande esperto di lingua e drammaturgia italiana, alcune sue opere rinvenute appaiono, anche all’occhio dei meno esperti, la versione originaria dei ben più noti capolavori shakespeariani. Fra tutti, Troppu trafficu pì nnenti che – non serve comprendere il dialetto siciliano per sgranare gli occhi – ricorda in maniera impressionante il celeberrimo Troppo rumore per nulla. E non finisce qui. Nel suo periodo veneziano, infatti, alcune fonti accerterebbero che Michelangelo visse a pochi passi da un uomo “moro” che uccise sua moglie a causa di un’incontenibile gelosia; da qui, poi, il Florio trasse spunto per una tragedia dai toni cupi, proprio come fece Shakespeare con l’Othello.

Si sa, il 500 non fu un secolo facile per i protestanti – direi che non fu un secolo facile per molti – e Florio, in costante fuga, giunse in Inghilterra dove, in quel periodo, trovavano rifugio numerosi protestanti di diversi Paesi europei che sfuggivano alla repressione cattolica trovando asilo nelle chiese riformate per ciascuna comunità linguistica. Michelangelo trovò casa prima a Stratford, ospite di un oste “guitto e ubbriacone”, probabilmente parente di sua madre, che gli dimostrò lealtà e un affetto quasi paterno: già, pare che Michelangelo gli ricordasse il figlio morto di nome William. E l’oste prese affettuosamente a chiamarlo così.

Manca a questo punto, un tassello. Presto detto. Se si prova a tradurre il cognome materno di Michelangelo, Scrolla-Lanza – o scrolla la lanza – vien fuori qualcosa che ha dell’incredibile: shake the speare.

Ed ecco a voi William Shakespeare. La fascinazione di questa ricostruzione sta nel fatto che Shakespeare risulterebbe quindi un quacchero fuggiasco costretto a nascondere la sua vera identità. Altre coincidenze ce ne sono e riguardano proprio l’oste (che pare abbia addirittura recitato in molte opere di Shakespeare) e lo stesso William – quello “vero” – che a Londra era tesserato in un club nel quale però non risulta il suo nome ma… indovinate? Un certo Michelangelo Florio, morto tra l’altro proprio nel 1616, come Shakespeare.

Dove stia di casa la verità di certo non si sa, com’è anche vero che, se del grande drammaturgo inglese si hanno notizie spesso intrise nel dubbio, anche questi dati risultano intinti nel grande calderone che porta sempre a fare… troppu trafficu pì nnenti.