Quaresima: non solo quaranta giorni.

La Chiesa ha iniziato uno dei suoi tempi “forti”: la quaresima. Talmente “forte” da richiedere un atteggiamento di debolezza: quaranta giorni di penitenza, digiuno e carità. Il tutto per prepararsi alla potenza della Pasqua, l’evento centrale del credente, il trionfo definitivo della vita sulla morte.

In molti ritengono anacronistica la modalità rituale con cui si apre questo cammino di conversione, celebrata il mercoledì delle ceneri. Accettare di farsi mettere cenere sulla testa e sopportare di sentirsi rivolgere oscuri ammonimenti dal sapore medievale – Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris (Ricordati, o uomo, che sei polvere e polvere ritornerai) – richiede una disponibilità a mettersi in discussione e in gioco, osservando una serie di regole e prescrizioni, ritenute stridenti e inconciliabili con i drammi della nostra epoca.

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In effetti, basta guardarsi intorno per cogliere e comprendere quanto non vi sia bisogno di questo tempo per sottoporsi o assistere a digiuni e praticare penitenze. Se è vero che in tanti ricorrono alla rinuncia forzata del cibo e delle bevande come forma di protesta contro strutture imperanti di sopraffazione e denuncia di situazioni di ingiustizia, è altrettanto vero che molti altri vi sono costretti da condizioni di emarginazione, di povertà e disagio. E quanti vivono quotidianamente una forzata penitenza, ristretti da segregazioni e costretti da violenze, soprusi e mancato riconoscimento dei più elementari diritti. Per non parlare di subdoli maltrattamenti sopportati a scuola o all’interno delle mura domestiche. Assistiamo a ordinarie diserzioni da quelle opere di misericordia spirituale e corporale che dovrebbero far da cornice al giubileo straordinario voluto da Francesco, il più delle volte disattese proprio da coloro che per primi dovrebbero invece esercitarne la pratica.

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Che senso ha dunque per la Chiesa proporre un periodo di privazioni e rinunce, quando a queste si è oramai obbligati oltre ogni convenzione temporale? Lo si coglie dal segno che conclude la quaresima per introdurre al triduo pasquale, un gesto intimo e più gradevole rispetto al rito di apertura, perfino commovente: acqua versata sui piedi di persone innocenti o tormentate. La fatica di accettare l’imposizione delle ceneri è compensata dalla tenera contemplazione della lavanda dei piedi del giovedì santo. Ancor più da quando papa Bergoglio, scevro da ogni preoccupazione di stretta osservanza delle rubriche liturgiche, ha conferito a tale rito un carattere maggiormente conforme agli intenti del suo iniziatore, Gesù di Nazareth, e continuando a scegliere, come già da cardinale a Buenos Aires, luoghi evangelicamente significativi: carceri, ospedali, ospizi, centri di assistenza, case private.

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Si coglie come cenere e acqua siano elementi complementari di una stessa dimensione: il servizio. Don Tonino Bello, il santo vescovo per la chiesa non ancora santo, definiva l’itinerario quaresimale con una espressione inequivocabile ed efficace: dalla testa ai piedi. “Cenere in testa e acqua sui piedi. Tra questi due riti – diceva don Tonino – si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, di poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita…”.

Ignazio Boi_Quaresima_4 Una certa riluttanza a sottoporsi al rito delle ceneri, nasconde sovente un rigetto ben più sottile: quello di inchinarsi dinanzi al povero, di piegarsi davanti alla solitudine e alla disperazione. In tal modo si continua a produrre cenere e ad alimentare la siccità dei cuori. Ai giorni nostri sono davvero troppi i cumuli di cenere che accumuliamo sulle nostre e altrui coscienze: egoismo, indifferenza, razzismo, bullismo… Ed ancora troppo poca l’acqua della socialità e solidarietà, della disponibilità e affettività che irrighiamo nei solchi e nelle pieghe di una umanità riarsa. Piove poco, di carezze e sorrisi, di mani tese e “volti rivolti” per usare un’espressione di don Tonino: “Se un volto non è rivolto verso l’altro, non è più volto”.

Accettare la cenere sulle nostre teste è il presupposto dell’impegno a piegare non solo il capo, ma l’intera persona, tesa ad accorgersi, ad accogliere, a farsi carico del prossimo.

Se è bastata un po’ d’acqua per togliere i residui di cenere dalla testa, ben più ne servirà per rimuovere dal nostro animo la coltre ammassata nel corso di esistenze annoiate e distratte e l’immensa montagna di lava calata a ricoprire una identità sociale sempre più anonima.

Solo così la quaresima non sarà un periodico, noioso e anacronistico cadenzare di quaranta giorni vissuti nel preoccupante e rigido rispetto di obblighi, ma una straordinaria occasione per riscoprire l’ordinaria passione di essere donne e uomini ancora intrisi di novità.


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Ignazio Boi (Cagliari, 1961), sposato, tre figli, giornalista pubblicista, esperto di formazione e comunicazione, funzionario della Direzione Politiche Sociali dell’Assessorato della Sanità della Regione Sardegna. Si forma in ambiente cattolico, dalla parrocchia ai movimenti dei Gesuiti. Obiettore di coscienza, nel 1983 diviene Segretario Nazionale della Lega Missionaria Studenti, promuove l’educazione alla pace, alla mondialità e la cooperazione allo sviluppo, cura il mensile “Gentes” e collabora alla rivista delle Comunità di Vita Cristiana. Consigliere e Presidente di Circoscrizione del Centro Storico di Cagliari dal 1985 al 1995, favorisce la nascita in Sardegna dell’Ipsia, ONG delle Acli, del Forum del Terzo Settore e del Forum delle Associazioni Familiari. Dirigente delle Acli e di Gioventù Aclista, fonda il Centro Pace e Sviluppo e con l’ente Enaip Sardegna dal 1986 al 2007 dirige attività e progetti di formazione professionale per “fasce deboli”, coordina programmi formativi internazionali e scambi di allievi tra paesi europei. Dall’Area Formazione della ASL, nel 2009 è chiamato nello staff dell’Assessore del Lavoro, promuove le realtà dei sardi nel mondo, particolarmente in Australia e in Argentina. Nel 2000 è ordinato Diacono permanente, impegnato negli Uffici diocesani di Pastorale Sociale e Lavoro e delle Comunicazioni Sociali, animatore di incontri, catechesi e formazione in diversi ambiti ecclesiali.