La terra ci sosterrà se, con rispetto, noi la sosterremo
N’è passato di tempo, da quando Papa Francesco, il giorno 29 novembre del 2015, aprendo la Porta Santa a Bangui, nella Repubblica Centroafricana, ha voluto dare la propria impronta, partendo dalla martoriata terra in cui non solo la guerra stanzia da tempo, ma lascia crescere la miseria a vista d’occhio.
Spalancando la porta con le palme delle sue mani, Francesco ha simboleggiato la libertà dalle costrizioni: quelle imposte a un popolo di per sé privo della più elementare dignità. Spalancate le porte del Tempio, c’è libertà di entrare per pregare e di uscire per evangelizzare le periferie del mondo. Lui ne sa qualcosa poiché, durante il suo apostolato, ha spesso toccato con mano e visto con occhi le piaghe della miseria, visitando le favelas e le bidonville di emarginati in quelle grandi città. Egli parte dall’Africa, culla del primo “homo erectus” apparso sulla terra. Sappiamo quanta tragedia ha vissuto l’uomo d’Africa e quanta ancora si lascia vivere ai tempi, da noi definiti, moderni.
Tuttavia, se la nostra modernità indossa ancora di queste vesti sarà meglio denudarci per ricollocarci nella condizione, veramente umana, giacché tale si nasce: nudi, semplici e ancor privi di malvagità. Il cammino suggerito da Francesco indica, nella luce della misericordia, attraverso quello dei poveri, il vero volto di Cristo: martoriato, sofferente, sulla via della Pasqua di Risurrezione. La croce resta come simbolo, non tragico, nemmeno inaccettabile poiché rimane evidente lo scopo del marcire per rinascere fecondo.
La terra ci sosterrà se, con rispetto, noi la sosterremo: ci consentirà di vivere, e lo farà, dandoci appunto, “lezioni” di misericordia.