Una parola. Sono passati vent’anni ma un “no” a un termine che di per sé indica violenze, silenzio e mancanza di giustizia basta a riaprire ferite mai chiuse nelle vittime. Un solo “no” basta a ricordarci che il mondo è ancora pieno di odi, di vecchi rancori, di alleanze basate sulla convenienza delle vecchie bandiere.

Mercoledi 8 luglio 2015 non è solo un giorno d’estate. Mentre i governi si interrogano su come risolvere l’emergenza rifugiati, nel palazzo di vetro di New York, all’Onu,  si ricordano i 20 anni trascorsi dalle violenze di Srebrenica, il più violento massacro avvenuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Solo che alla bozza di risoluzione che ricordava il massacro definendolo “genocidio” la Russia ha opposto il suo veto. La richiesta probabilmente è arrivata dagli amici serbi che, pur avendo ammesso le proprie responsabilità in quelle violenze, non le considerano pianificate con lo scopo di eliminare un gruppo etnico e religioso.

All’Onu, sono 5 gli Stati che hanno il potere di veto,il potere di infliggere una sconfitta alla civiltà, la sconfitta perenne del silenzio, del negazionismo. La Cina si è astenuta, gli Usa, la Francia e il Regno Unito hanno votato “sì”. La Russia ha opposto il suo veto, ha vota “no”. La “proposta non è costruttiva”, si è giustificato il Cremlino.

Ma per i tribunali internazionali quello compiuto a Srebrenica, cittadina bosniaca a maggioranza mussulmana fu un massacro “pianificato e coordinato ad alto livello”, un genocidio che costò la vita a più di ottomila persone.

A distanza di vent’anni, però, dopo la condanna del Tribunale Penale dell’Aja, la Serbia continua a negare. Non fu genocidio, alle vittime e ai loro famigliari continua ad essere negata la memoria. Per non parlare della giustizia.

È il 1995. La guerra nell’ex Jugoslavia imperversa nell’Europa balcanica da ormai 4 anni. L’assimilazione forzata di diversi gruppi etnici e religiosi compiuta dal generale  Tito è ormai fallita e nei Balcani le differenze tra cattolici e mussulmani, tra serbi, bosniaci, croati e montenegrini sono da tempo deflagrate.

Alla morte di Tito, la Serbia aveva pensato di costruire una grande repubblica Serba, ma uno dopo l’altro erano arrivati i referendum e le dichiarazioni di indipendenza. La Croazia la ottenne dopo violenti episodi di pulizia etnica verso i serbo croati, ma la guerra civile vera e propria, le violenze maggiori e il percorso di indipendenza più incidentato avrebbero coinvolto la Bosnia Erzegovina.

A marzo del 1992, i mussulmani Bosniaci dichiarano l’indipendenza dai serbi; la guerra civile, che li opporrà a quest’ultimi, culminerà con l’assedio di Sarajevo.  Serbi contro mussulmani, migliaia di morti tra i civili, stupri di massa, fosse comuni, è questa la guerra per cui nessuno, in Occidente, muove un dito.

La pulizia etnica dei serbi contro i mussulmani diventerà il simbolo di questa guerra a cui l’Onu cerca di porre rimedio, inviando delle truppe nei territori. Tra le zone affidate alle forze Onu di Peeacekeeping, c’è anche Srebrenica, cittadina bosniaca contesa dai serbi abitata in maggioranza da mussulmani. Il genocidio avvenne in un tempo relativamente breve, dal 7 al 18 luglio. La cittadina è considerata “zona protetta”, vi hanno trovato rifugio migliaia di profughi bosniaci in fuga dai serbi, è di base un contingente di soldati olandesi, inviati dall’Onu per proteggere la popolazione. Sembra assurdo, ma il genocidio avvenne sotto gli occhi dei soldati inviati dalle Nazioni Unite.

Guardando quei fatti 20 anni dopo, viene da pensare che il fallimento e l’inutilità dell’Onu, di cui si parla negli ultimi mesi, inizi proprio a Sebrenica ed ha il fermo immagine del colonnello olandese Karremans che stringe la mano al “boia dei balcani”, il mandante della strage, Ratko Mladic.

Non finisce qua. Alcuni documenti emersi al processo dimostrano la complicità dei soldati olandesi nelle violenze e negli stupri di massa avvenuti in Bosnia. Le violenze iniziano con l’entrata dei serbi in città. Dopo giorni di assedio tra serbi e bosniaci, l’11 luglio le truppe serbe entrano a Srebrenica. Il generale Mladic assicura la popolazione sulle sue intenzioni, i civili sono al sicuro. È un bluff. Lo stesso giorno il generale da ordini precisi ai suoi uomini: radunare ed uccidere tutti gli uomini in età militare . In tre giorni, muoiono ottomila bosniaci mussulmani.

È la pulizia etnica, “inventata” dai serbi tre anni prima e perpetrata sotto gli occhi del contingente Onu ai danni dei villaggi e degli abitanti mussulmani con lo scopo di spazzare via la loro presenza e creare in Bosnia un’unica etnia senza mussulmani bosniaci. Le donne di Srebrenica, giovani e anziane, erano state separate dai loro uomini. L’umiliazione che sarà loro inflitta sarà lo stupro ad opera degli odiati serbi o peggio ancora dai soldati che erano stati inviati lì con lo scopo di proteggerle e garantire loro la libertà e la dignità.

Ma tutto questo, per la Russia, non merita l’accusa di genocidio.