La giaculatoria disperata della ragazza di Montesardo, che incrocia una “società malata”.

Ha avuto bisogno di dirlo a se stessa, e il coraggio di dichiararlo al mondo della comunicazione muta. Un “manifesto” sull’amore che non è, affidato in extremis a facebook: dall’adolescente di Montesardo a chiunque viva con leggerezza o responsabilità questo tempo infame.

È l’urlo lanciato da Noemi, la sua giaculatoria disperata: «Non è amore se ti fa male. Non è amore se ti picchia. Non è amore se ti umilia. Non è amore se ti tradisce. Non è amore se ti diminuisce. Non è amore se piangi più di quanto sorridi…».

Già, l’“amore malato” è stato il suo cancro; l’abitudine da cui ha cercato di liberarsi troppo tardi, quando la tenerezza era già diventata di sasso.

«L’abitudine è la più infame delle malattie – non è vero, Noemi? – perché ti fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine s’impara a portare le catene, a subire le ingiustizie; ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto».

L’amore è uno tsunami, nel cuore di un’adolescente. Lo sbilancia. Lo travolge. Inizia da uno sguardo, magari da una tastiera, e si affaccia al cuore, ma quando si tuffa dentro e lo allaga, è deflagrante. Se poi è “malato”… e diventa un’abitudine… puoi uscirne solo grazie agli altri.

Gli altri! La “società malata” che non si accorge di nulla. Che fa finta di nulla. Che rimane indifferente. Che interpreta la prudenza come un “farsi ognuno gli affari propri”. Che vive l’amicizia come commento ironico o partecipato ma distante. Istantaneo ma distante: laddove il tempo e la geografia sono diventano schizofrenici, non solo sui social. Tutti apprendono le tue ragioni, nessuno che ti raggiunga per darti una mano davvero. Fisicamente. In tempo reale. In tempo utile. Nessuno che sia disposto a lenire, contrastare il dolore con una carezza vera.

Forse non proprio nessuno: pochi, troppo pochi!

Non è vero, Noemi?

Vedo tua madre, ieri l’altro. Che chiede aiuto, ansiosa e ansimante, alla “legge”: ipocrita come ai tempi di Cristo! Che fa parte del coro parrocchiale, ma il parroco “non sa”, non poteva immaginare… e ora chiede scusa, sinceramente, ma dovrà fare i conti con la propria coscienza: perché se non incontra i volti nel loro splendore e nelle loro rughe, che paternità esercita?

E tuo padre che vive altrove? E i vicini di casa che spengono ogni fiato nella chiacchiera? E gli altri del paese: iperconnessi, ma estranei come un po’ tutti, ormai?

Vittima di più violenze, Noemi da Montesardo, frazione di Alessano!

Dove l’“amore santo” è in lotta aperta – e rimarrà in tensione – con l’“amore malato” e con la “società malata”. Oltre che con la mano omicida.


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Renato Brucoli (Terlizzi, 1954) è editore e giornalista pubblicista. Attivo in ambito ecclesiale, ha collaborato con don Tonino Bello dirigendo il settimanale d’informazione religiosa della diocesi di Molfetta e il Settore emerge della Caritas, in coincidenza con il primo e secondo esodo dall’Albania in Italia (marzo-agosto 1991) e per alcune microrealizzazioni di ambito sanitario nel “Paese delle Aquile”. Nella sfera civile ha espresso particolare attenzione al mancato sviluppo delle periferie urbane e fondato un’associazione politica di cittadinanza attiva. Ha anche operato nella Murgia barese per la demilitarizzazione del territorio. Autore e curatore di saggi biografici su don Tonino Bello e altre personalità del Novecento pugliese, dirige la collana Alfabeti per le Edizioni Messaggero Padova. Direttore responsabile della rivista Tracce, collabora mensilmente con il periodico La Nuova Città. È addetto stampa per l’associazione Accoglienza Senza Confini Terlizzi che favorisce l’ospitalità di minori bielorussi in Italia nel dopo Chernobyl. L’Università Cattolica del Sacro Cuore, per la quale ha pubblicato una collana di Quaderni a carattere pedagogico sul rapporto adulto-adolescente, gli ha conferito la Medaglia d’oro al merito culturale. L’Ordine dei Giornalisti di Puglia gli ha attribuito il Premio “Michele Campione”: nel 2013 per l’inchiesta sul danno ambientale procurato da un’industria di laterizi; nel 2015 per la narrazione della vicenda umana e sportiva di Luca Mazzone, campione del mondo di paraciclismo.