Questo è l’annunzio del Natale: un uomo per divinizzarsi non deve salire verso Dio, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi.

Un senso: sì, ma come? “Noi tutti urliamo come orsi, andiamo gemendo come colombe” dice il profeta Isaia. L’attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia. Mai come in questi tempi stiamo assaporando la precarietà della vita che, forse, ci avvicina a quell’essere misterioso che nasce a Betlemme: un essere umano piccolo e indifeso come ognuno di noi, che va molto al di là della sfera religiosa in cui noi lo collochiamo. La stalla di Betlemme non era un luogo sacro e la vita, da rispettare nel suo valore, viene prima di ogni pratica religiosa!

Ci riferiamo ai volti della stanchezza, dell’angoscia, della crisi, dell’esclusione, della fuga, della paura per l’imminente domani. Ci riferiamo ai luo­ghi dell’ira e della nausea: purtroppo la storia non sembra un luogo conforte­vole per riti, liturgie e poesie.

Per tirarci su dobbiamo maciullare le nostre coscienze, scavando in profondità, e ricominciare daccapo a ricamare sogni nutriti di speranza, di preghiera, di semplicità e fratellanza… “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante” direbbe Nietzsche.

Affinché il sogno scivoli lieve verso la realtà e la lambisca si ha bisogno di un pensiero nuovo, di idee nuove, di vite nuove… Coloro che stabilmente praticano l’aggressione verbale cedano il passo, perché hanno infangato la bontà di chi li ha riaccolti per “rifarsi la verginità”.

Si avvertono come necessarie l’analisi, l’informazione veritiera, la riflessione, l’attenzione e la cura della profondità dell’anima. Pare che non siano di alcun aiuto, anzi provochino ulteriore impoverimento le semplificazioni, le frasi fatte, i luoghi comuni, la superficialità spesso supportata dalla presunzione e dall’arroganza di parole e decisioni vuote.

Senza le vibrazioni di un animo che accolga, ascolti e condivida le sofferenze, le inquietudini, le paure, gli interrogativi dell’altro, non ci può essere né presente, né futuro umano, perché prevalgono l’indifferenza, l’esclusione, la cultura e la pratica dello scarto. Senza la compassione, la misericordia, la tenerezza, la gratuità e l’umanità, nessuno avrà la forza di alzare il proprio capo stanco. Le sofferenze personali sono diffuse, anche se non emergono nella loro platealità. Personalmente ho avuto sempre timore dei silenzi più che delle urla minacciose…

Attraverso le “oscurità” della vita a volte si rafforza la conoscenza e la consapevolezza delle proprie risorse. È in quest’attraversare gli “inverni” dell’esistenza che si scoprono potenzialità creatrici e rigeneratrici in grado di promuovere un cambiamento e un’evoluzione. Un’ottima occasione, dunque, per riconnettersi con il centro di se stessi, lasciandosi guidare e così intraprendere nuovi percorsi di rinnovamento e trasformazione. Non dimentichiamoci che nel mezzo della notte, nell’oscurità illuminata solo dalle stelle, a Betlemme è sceso un Dio fattosi bambino.

Questo è l’annunzio del Natale: un uomo per divinizzarsi non deve salire verso Dio, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi. Da sempre gli uomini hanno cercato di emergere per diventare dèi, innalzandosi sugli altri uomini e prendendo le distanze da questi attraverso l’accumulo del potere e l’accumulo delle preghiere. Ma più ci si allontana dagli uomini più si diventa disumani. Più l’uomo religioso si distacca dagli altri per incontrare Dio e più questi diventa irraggiungibile. Con il Natale si è capito che non bisogna salire per incontrare Dio, ma scendere, perché Dio si è fatto uomo: più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la storia di Natale.

Le sfide attuali attendono altre forme di presenze divine: inven­zioni nuove di solidarietà che introducano inediti livelli di umanità. In questa pro­spettiva il Natale non è solamente un evento della sto­ria umana, ma un paradigma costante di un’azione perpetua che mira a dare vita a chi, lungo la strada, ha perso l’orizzonte. La memoria del Natale quindi è sovversiva, non un ingrediente sociale del nostro sistema!