Volete un San Valentino privo di melensaggini e di retorica? Niente di meglio che un crudo Edgar Lee Masters temperato da un abilissimo De André

I Trainor, the druggist, a mixer of chemicals,

killed while making an experiment,

lived unwedded.

(Edgar Lee Masters)

Volete un San Valentino privo di melensaggini e di retorica? Niente di meglio che un crudo Edgar Lee Masters temperato da un abilissimo De André, i cui rifacimenti, com’è noto, superano in bellezza gli originali.

Ecco allora “Un chimico”, uno dei nove brani del concept album “Non al denaro non all’amore né al cielo”, scritti da Fabrizio, Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani nel lontano 1971 quale rilettura della famosa “Spoon River Anthology”.

In questo capolavoro della letteratura americana Trainor, il farmacista del paese, conosce le leggi chimiche secondo le quali due elementi, messi a contatto, reagiscono e si combinano e a sa a priori cosa si otterrà, ma al di fuori del suo laboratorio, nella vita sentimentale, questa sua conoscenza scientifica non ha alcuna ricaduta, non gli serve a nulla: un uomo e una donna si incontrano, si amano e si sposano e come saranno i loro eventuali figli, quale sarà l’esito di quella unione nessuno può dirlo. Capita, a volte, che da due persone a posto scaturisca un rapporto conflittuale ovvero una cattiva prole. Ciò provoca in Trainor un senso di smarrimento perché i conti non gli tornano; è più facile dominare la Natura, conoscendo le leggi che la governano, che non gli esseri umani, spesso vittime dei loro stessi sentimenti. Trainor preferisce non sposarsi, non legare la sua vita a nessuno, perché il rischio – la possibilità di un esito negativo nella sua unione con una donna o nella sua discendenza – lo spaventa. Non considera, però, che il vero fallimento nella vita è il non averla vissuta, l’aver guardato gli altri vivere.

… E muore, ironia della sorte, per un “incidente” sul lavoro, perdendo quella vita che aveva gelosamente conservato tutta per sé. Questo il messaggio di Masters.

De André riassume il tutto in soli sei versi del suo rifacimento:

Da chimico un giorno avevo il potere

di sposare gli elementi e farli reagire,

ma gli uomini mai mi riuscì di capire…

Fui chimico e no, non mi volli sposare,

non sapevo con chi e chi mi avrei generato;

son morto in un esperimento sbagliato…

Detti versi sono più che sufficienti a fornirgli lo spunto per un più ampio e sottile discorso sull’amore, che cessa così di essere un chimismo degno del più incallito materialista meccanicista per diventare un allettante gioco di combinazioni, un caleidoscopio di sentimenti ed emozioni.

Nel racconto del Chimico lo scetticismo nei confronti dell’amore si alterna al rimpianto per non averlo mai gustato e culmina nella strofa

Guardate il sorriso, guardate il colore

come giocan sul viso di chi cerca l’amore;

ma lo stesso sorriso, lo stesso colore

dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore?

a dire che l’amore è soltanto una delle illusioni della vita, illusione che spinge l’Uomo a cercarlo, provocandogli uno stato di ebbrezza e di pregustazione della felicità, che non permangono, però, quando lo scopo è stato raggiunto. Il rimpianto e la tristezza della solitudine traspaiono invece nei versi in cui il Chimico si chiede a che serve l’aver amato se tutti si deve morire, quale sia la differenza fra la morte di chi ha assaporato l’amore e quella di chi ha preferito evitarlo. Si può morire per un “esperimento sbagliato” in laboratorio e si può morire per un “esperimento sbagliato” in amore. Entrambi i casi rappresentano un modo abbastanza stupido di morire “e qualcuno dirà che c’è un modo migliore”.

E arriviamo alla strofa-regina della canzone:

Primavera non bussa, lei entra sicura,

come fumo lei penetra in ogni fessura;

ha le labbra di carne e i capelli di grano,

che paura che voglia che ti prenda per mano,

che paura, che voglia che ti porti lontano.

Agli inizi degli anni Ottanta era in voga una canzonetta nella quale si declamava che “non esistono leggi in amore, basta essere quello che sei; lascia aperta la porta del cuore …” e ancora “senza una donna l’uomo che cos’è: è questa l’unica legge che c’è”. De André precisa ed eleva il tono di questo assunto: non è necessario lasciare aperta la porta, puoi anche serrarla; la gioia dell’amore è la primavera della vita e – come la primavera e come il fumo – si insinua nelle fessure di quella porta, impregnando, senza possibilità di scampo, l’aria circostante e raggiungendo il tuo cuore.

La metafora della primavera, spesso associata all’amore, alla gioia, alla giovinezza, è uno stereotipo molto diffuso sia in letteratura che nel parlare quotidiano, ma in De André si fa carne nell’immagine di una donna bionda (“i capelli di grano”) ma non eterea (“ha le labbra di carne”), che fa esplodere in noi il più antico dei conflitti; un ondeggiare tormentato di paura e desiderio di farsi guidare dalle ragioni del cuore mettendo a tacere la mente; guerra fredda fra sentimento e ragione.

E allora, dal cinico meccanicismo di Masters scivoliamo dolcemente nell’arrendevole consapevolezza di De André, che inneggia all’amore e ce lo mostra trionfante.

E pensare che nell’originale dello scrittore americano la parola “amore” non compare affatto.


Articolo precedenteDove sei uomo?
Articolo successivoJonah Lomu. Il Gigante buono
Francesca De Santis è nata a Barletta il 1961 e vive ad Andria dal 1972. Docente di scuola elementare, materna e di sostegno, dal 1987 al 2001 ha insegnato nella scuola materna statale. Laureatasi nel 1993 in Pedagogia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha insegnato nel Liceo Scientifico “A. Moro” di Margherita di Savoia e dal 2002 insegna lettere nel Liceo Scientifico “R. Nuzzi” di Andria. Per molti anni ha studiato e commentato i testi delle canzoni di Fabrizio De Andrè, alcune delle quali confluite nella sua tesi di laurea (inedita) e ha tenuto, in merito, alcune lezioni. Attualmente si occupa della trascrizione con note esplicative di importanti manoscritti barlettani.