Può una pratica ancestrale, capace di ripianare perdite dolorose, contribuire alla costruzione di relazioni e alla ripresa di rapporti improntati alla fiducia, all’apertura, alla prossimità, all’alterità? Ancora una volta l’esempio giunge dalla storia e dalla terra, patrimoni che ancora fatichiamo a cogliere come tali.

Sa paradura, ovvero: non esiste differenza tra i pastori per i pastori. Il furto perpetrato ai danni di uno di loro danneggia l’intera categoria, se una catastrofe naturale rovina un pastore, sono tutti a soffrirne.

Sono questi i sentimenti sottesi ad una pratica ancestrale, ma ancora in pratica. Non occorre neppure tanta organizzazione o clamore. Scatta immediata, la solidarietà, nel momento in cui quanti curano un gregge vengono a sapere che un proprio compagno ha perduto, o gli è stata sottratta, una o più pecore.

Viene spontaneo dunque cedere una delle proprie pecore, senza per questo percepirne la privazione. Perché quando un pastore guadagna una pecora, sono in tanti a gioirne. E non importa se la terra di provenienza di uno soffre di una crisi profonda che sta mettendo in ginocchio la pastorizia e l’allevamento in genere.

Di recente, due episodi in particolare hanno portato alla ribalta l’antico uso di provvedere con immediatezza all’offerta di un proprio animale per sopperire alla mancanza determinata da un terremoto o una rapina.

Cascia, terra benedetta, colpita dal sisma ha dovuto registrare gravi perdite da parte di numerosi pastori delle proprie greggi. La Sardegna si è mobilitata per promuovere un evento in cui folclore e festa, fede e tradizione potessero coniugarsi per produrre solidarietà. Tre tir dall’isola dei nuraghi fino alla città di Santa Rita hanno trasportato mille pecore da offrire ai pastori casciani. Paradossalmente il terremoto ha trasformato in un’isola il “continente” facendolo sentire simile per condizione alla Sardegna.

Privarsi di un proprio bene per compensare in parte il danno vissuto da un proprio collega fa pensare alla logica dei vasi comunicanti. Non si tratta di una perdita quanto viene contenuto da un proprio simile.

La stessa modalità della consegna, cosidetta “a stumbu”, ossia ad estrazione, ad opera di un bambino bendato, la dice lunga sulla logica di trasparenza e di gratuità dell’operazione. Nessuno è privilegiato, tutti sono uguali.

La seconda esperienza viene da Posada, un piccolo centro dell’interno della Sardegna, in cui vive Elia, diciassette anni, a cui ignoti hanno sottratto il piccolo gregge infrangendo un sogno coltivato fin da bambino. All’abigeato, pratica ancestrale e tuttavia ancora praticata, si contrappone la logica del mutuo soccorso. E scatta “sa paradura” anche per Elia, contribuendo a delineare quello che per molti è un ripiego, mentre per lui è un’autentica vocazione. Dopo aver abbandonato gli studi, è riuscito a realizzare una piccola fattoria, con qualche animale. Lo stretto necessario per avviare, non senza fatica, la possibilità concreta di far crescere pian piano un desiderio embrionale fino a farlo divenire realtà. Quindi il furto, gesto vile che ha impattato con gli occhi ancora innocenti di quel giovane pastore, ma soprattutto con la dura realtà dell’invidia e dell’egoismo. Sarebbe anche finita li per Elia, se non fosse che uno zio ha deciso di rendere nota la triste notizia, anche attraverso i social. Il nuovo al servizio dell’antico. Anche in questo caso la mobilitazione non si è fatta attendere. A partire dall’infaticabile e granitico cantante-allevatore Gigi Sanna degli Istentales, complesso sardo musico-vocale, resosi disponibile a offrire un piccolo gregge e all’organizzazione di un concerto per una raccolta fondi. “Non c’è distinzione tra pastore sardo e pastore umbro – disse in occasione dell’iniziativa a Cascia – i pastori sono tutti uguali. Noi che viviamo in campagna conosciamo le difficoltà, siamo abituati ai sacrifici e quando uno di noi ha bisogno lo aiutiamo: se abbiamo due pecore, una la doniamo a lui”.

Ora Elia ha il problema, se così si può chiamare, opposto: deve trovare un terreno più ampio, tanta è stata la solidarietà che gli è giunta. Ma il bene non basta mai e soprattutto non accetta confini. Né di terra, né di cuore.

È utopistico pensare di poter attivare “sa paradura” anche sul piano degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni, provvedendo a colmare vuoti di speranza, lacune di sogni, abissi di futuro?


Fontehttps://www.google.hu/search?site=imghp&tbm=isch&q=gregge&tbs=sur:fmc&gws_rd=cr&dcr=0&ei=mm3NWbjxLbPN6QStnI24BQ#gws_rd=cr&imgrc=vgulCZ_e7nxroM:
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Ignazio Boi (Cagliari, 1961), sposato, tre figli, giornalista pubblicista, esperto di formazione e comunicazione, funzionario della Direzione Politiche Sociali dell’Assessorato della Sanità della Regione Sardegna. Si forma in ambiente cattolico, dalla parrocchia ai movimenti dei Gesuiti. Obiettore di coscienza, nel 1983 diviene Segretario Nazionale della Lega Missionaria Studenti, promuove l’educazione alla pace, alla mondialità e la cooperazione allo sviluppo, cura il mensile “Gentes” e collabora alla rivista delle Comunità di Vita Cristiana. Consigliere e Presidente di Circoscrizione del Centro Storico di Cagliari dal 1985 al 1995, favorisce la nascita in Sardegna dell’Ipsia, ONG delle Acli, del Forum del Terzo Settore e del Forum delle Associazioni Familiari. Dirigente delle Acli e di Gioventù Aclista, fonda il Centro Pace e Sviluppo e con l’ente Enaip Sardegna dal 1986 al 2007 dirige attività e progetti di formazione professionale per “fasce deboli”, coordina programmi formativi internazionali e scambi di allievi tra paesi europei. Dall’Area Formazione della ASL, nel 2009 è chiamato nello staff dell’Assessore del Lavoro, promuove le realtà dei sardi nel mondo, particolarmente in Australia e in Argentina. Nel 2000 è ordinato Diacono permanente, impegnato negli Uffici diocesani di Pastorale Sociale e Lavoro e delle Comunicazioni Sociali, animatore di incontri, catechesi e formazione in diversi ambiti ecclesiali.