Il 16 agosto, in centinaia di Comuni italiani, si celebra san Rocco: il santo protettore contro la peste ha dato il suo nome a milioni di braccianti. Questo racconto è per loro…

La fronte è solcata da una, due, tre linee lunghe e profonde, da una tempia all’altra, come ferite asciugate dal sole. Anche le guance sono scavate da rughe, questa volta verticali, ma non meno profonde. I capelli sono radi, bianchissimi, spazzati dal vento. La pelle è bruciata, gli occhi sono profondi come il tempo, fissi su un obiettivo sconosciuto, così cerulei da apparire stranieri su quel volto.

Nella piana, gli ulivi assecondano la danza dell’aria con i loro rami verde argento, mentre il sole acceca e le cicale danno voce alla loro consueta arcana sinfonia. Sono tutti piegati in avanti, verso sud, è il vento di maestrale che li ha scolpiti così e i loro tronchi, tanto robusti quanto pazienti, testimoniano nei secoli lo scavo del tempo.

La zappa, muta e paziente, continua a sollevare una zolla dopo l’altra, l’erba già mezza arsa cade sotto i colpi, eppure si imperla delle gocce di sudore che grondano copiose dalla fronte di Rocco. Anche la sua schiena è scolpita, ripiegata in avanti, proprio come quella degli ulivi.

Difficile stimarne l’età: potrebbe avere meno di 50 o più di 70 anni. La fatica di bracciante, che egli dura da quand’era bambino, ha modellato le sue ossa e reso di pietra i suoi muscoli ricoperti da una pelle incartapecorita.

Rocco non si lamenta. Non sogna una vita diversa, né migliore, anche perché non saprebbe immaginare un’altra vita. I suoi unici viaggi sono stati di andata e ritorno: la mattina, da casa fino alla terra da lavorare, con la zappa in spalla e un fagotto appeso alla punta, con pane, acqua, qualche oliva e un pezzetto di formaggio, se c’era, magari anche due pomodori, rossi o secchi, a seconda della stagione; il ritorno a sera, da campagna a casa, ancora con la zappa in spalla e il medesimo fagotto, questa volta colmo di due cicorie o qualche pera o dei fioroni, come adesso, di giugno.

Rocco non chiede. Rocco non si lamenta. Rocco lavora. Rocco dura la sua fatica, con gli occhi cerulei fissi su una domanda che non trova parole. Se ne trovasse, potrebbe forse suonare così: se il nero assorbe tutti i colori, perché la vita è così prodiga con chi porta un colletto bianco?

Ma Rocco non parla, Rocco non chiede, Rocco non conosce la vita dei signori, Rocco lavora, dura la sua fatica e la sera ritorna a casa.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. Quanta dignità in quel volto solcato dal tempo e dalla fatica. Quanta passione per quel lavoro duro, ma onesto. Ieri come oggi dobbiamo dire grazie a quei tanti volti, molti senza un nome e tanti con un nome straniero, che come Rocco accudiscono la nostra terra.

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