Nel recente passato, solo uno striminzito segmento di corso Vittorio Emanuele e parte del Centro Storico di Barletta venivano chiusi al traffico veicolare. Per una manciata di ore della domenica e di qualche festività religiosa o civile.
Per l’occasione, si provvedeva al lavaggio della pavimentazione stradale con potenti getti di acqua. Le polveri sottili, sfrattate dai violenti scrosci erano costrette a prendere la via delle caditoie. Ciclamini, palme nane e ulivi, ringraziando per l’acqua elargita alle fioriere, riacquistavano smalto e vigoria.
Man mano che il sole si arrampicava nel cielo, i pedoni cominciavano, singolarmente o a frotte, a salire sull’inconsueto palco stradale, scevro di invadenti e pletoriche vetture. Incessante, quindi, si snodava, lo struscio, da un capo all’altro della strada, su cui nell’Ottocento lanciava assordanti vagiti, il pittore Giuseppe De Nittis.
Gli adulti, vestiti a festa, passeggiavano, salutando vecchie conoscenze, dialogando, scherzando, fraternizzando, respirando a pieni polmoni, annusando il delizioso profumo di ragù che metteva la testa fuori da qualche abitazione privata. A passo lento. Cadenzato. Sostando, in crocchi. Una corsia per l’andata e l’altra per il ritorno. Gli anziani, seduti alle circolari panchine, timidamente sovrastate da ulivi e chamaerops humilis, evocando i bei tempi andati, si godevano l’andirivieni.
Per i fortunati bambini non sembrava vero che potessero scorrazzare, senza il guinzaglio dei genitori. Il solito venditore di palloncini li rendeva felici, ma qualche birichina bolla di plastica, approfittando della rottura degli ormeggi, salutava i cuccioli umani e, caracollando allegramente, prendeva il volo verso il cielo, intonando la canzone “Volare”. Fino a diventare, tra le eteree nuvole, un colorato puntino, quasi invisibile, seguito con nasino all’insù dagli inconsolabili occhi carichi di lucciconi.
Solo qualche bicicletta, zigzagando a passo d’uomo, conviveva pacificamente con i tanti ospiti arrivati da ogni contrada della città, dalle dimenticate periferie, per godersi l’angusto spazio, un fazzolettino, anzi un francobollo aperto finalmente alla società, a ricchi e poveri, analfabeti ed acculturati, mascalzoni ed onesti. Anche dei cagnolini, annusanti tutti i pali della segnaletica stradale, erano sgomenti, non credevano ai loro occhi. Per incanto non erano costretti ad esibirsi in ripetuti starnuti per folate di venefici gas proiettati alla loro altezza da tubi di scappamento.
A Natale… miracolo! La zona pedonale si espande a macchia d’olio. Numerose strade acquistano il diritto e la dignità di ritornare per più giorni nelle mani dei legittimi proprietari. I pedoni. I cittadini. “Finalmente!” ha gridato qualcuno che da sempre non si rassegna all’arroganza ed alla prevaricazione delle pestifere vetture. Ha fatto, però, i conti senza l’oste. Si tratta, infatti, di un provvedimento eccezionale, in vigore solo durante il periodo natalizio. Per giunta, l’iniziativa mira a favorire lo shopping.
Ma chi vuoi che compri della merce!? Sotto l’albero di Natale, c’è la cassa integrazione per Fiat, Alfa, Alitalia, Ilva, Natuzzi e Perugina. Il 2017 chiude i battenti con 160 tavoli di crisi aperti. I poveri in Italia raggiungono la stratosferica cifra di tre milioni. Per non parlare dei sette milioni che lambiscono la soglia della povertà relativa.
La grande distribuzione, per giunta, falcidiati cinicamente i meravigliosi negozietti di una volta, che un posto a sedere te lo offriva, rastrella le sparute risorse locali e le alloca nei paradisi fiscali. I loro lavoratori, eternamente precari, senza tutele, a progetto, a chiamata, devono rinunciare al diritto del godersi le festività con se stessi o i congiunti, per presidiare casse, banconi e scaffalature, stracolmi di tanta merce inutile, inquinante e pericolosa per la salute, di chi gestisce il potere finanziario, malavitoso e politico.
“Occorre consumare”, grida a squarciagola, il concerto dei media, ben oleato dalla pubblicità, perché bisogna produrre, altrimenti lo sviluppo si inceppa. Il messaggio sottintende, però, subdolamente che i cittadini, nella dominante logica consumistica del liberismo selvaggio, sono soltanto mezzi, mai fini. Loro, gli animali, il territorio intero. La natura. Il pianeta. “Eterogenesi dei fini”, direbbero i filosofi, cioè i fini diventano mezzi, ed i mezzi fini.
Non si immagina una mobilità leggera. Dappertutto! Per…ammirare l’azzurro del cielo ed i convogli di nuvole …ascoltare il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, la musica del vento, lo sciabordio del vicino mare …rispecchiarsi nell’acqua piovana del giorno precedente …sognare ad occhi aperti su una panchina, all’ombra di un ligustro, un albero di giuda o un oleandro …esplorare il proprio ambiente …scoprirne le recondite bellezze paesaggistiche …applaudire ragazzini che giocano al pallone, a nascondino, alla campana …sorridere a giovani che si baciano … compiacersi di anziani che si tengono per mano …condividere con gente del vicinato genuini prodotti locali a chilometro e sfruttamento zero …inebriarsi del profumo di parmigiana o peperoni ripieni …applaudire gli artisti di strada.
“Per stare con i deboli. Che in un certo senso tutti sono deboli, perché tutti sono vittime. E tutti sono i colpevoli, perché tutti sono pronti al gioco del massacro. Pur di avere.” (dall’ultima intervista di Pierpaolo Pasolini a Furio Colombo, prima di essere barbaramente ammazzato)
…Per riconoscere la diffusa povertà, culturale, economica, sociale, ambientale. Per valorizzare, con il riconoscimento cognitivamente empatico delle esigenze e dei bisogni reali, il territorio ed i suoi abitanti.
I sensi e l’immaginazione, per l’uso sconsiderato che si fa della dilagante motorizzazione, sono finiti in soffitta. Fra le cianfrusaglie. Le macchine spadroneggiano dappertutto, nella giungla urbana. Presidiandola minacciosamente. Svanisce, di conseguenza, per la carenza di umanità, il profilo dell’identità individuale e collettiva. I più non sono nulla e contano meno di zero. Amebe, per esistenza ed essenza.
Molti, …che da tempo, recidendo il cordone ombelicale con il vissuto del territorio, si sono docilmente piegati alla schiavitù delle autovetture e di tutte le comodità dell’apparato industriale, tecnologico, digitale e finanziario, …che hanno recluso e segregato i propri figli a casa in ostaggio di smartphone & company, non si rendono conto che occorre uscire al più presto dal vicolo cieco della perdita di identità, della mancanza di orizzonte, della rassegnazione, della pavidità, dell’indolenza, dell’ingordigia di merci e…denaro, ignota a tutte le altre specie viventi.
Quando comprenderanno che urge invertire rotta? azzerando il paranoico modello di sviluppo che produce “degrado umano, sociale ed ambientale”, come ammonisce Papa Francesco. Per ritrovare la propria umanità! Quando governanti e governati, tutt’insieme si convinceranno che è indispensabile uno scatto di reni? “Prima che” per dirla con il vate Pasolini, “restiamo tutti annegati”, senza scampo per nessuno, anche per quelli che sembrano vincenti nell’attuale marasma generale, ma sono come tutti vittime e colpevoli.