Nonostante non se ne parli più, la xylella continua a fare danni. Tanti danni. Abbiamo chiesto a Francesco Sansonne, tecnico di campo dell’A.R.I.F. (Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali) – unico organismo pugliese preposto a studiare la questione Xylella – di spiegarci a che punto siamo con la gestione di questa piaga che rischia di distruggere l’economia agricola pugliese.

Sono diverse le zone della Puglia in cui il batterio della Xylella ha colpito. Zone diverse ad intensità diversa. Chiaramente, il Salento rappresenta il focolare del virus, nato e diffusosi da una pianta ornamentale di caffè conservata in una serra”, esordisce Francesco.

Com’è stato possibile che, da un ambiente alquanto circoscritto, il problema si sia esteso in maniera così epidemica?
Il responsabile della trasmissione del batterio è, quasi sempre, un vettore. In questo caso stiamo parlando della cosiddetta “sputacchina”, un insetto appartenente alla famiglia delle comuni cicale, che trasporta da una pianta all’altra quello che possiamo definire il “cancro” degli arbusti.

Imbrunimento dei rami, dissecamento della chioma e bruscatura delle foglie sono solo alcuni degli effetti collaterali della Xylella. Che genere di piante viene infettato?
Il problema ha raggiunto la ribalta nazionale in seguito, soprattutto, alla contaminazione degli ulivi, ma vengono spesso colpiti anche oleandri. Solitamente si cita la Xylella in riferimento agli alberi secolari.

Nell’ultimo periodo abbiamo assistito ad una sollevazione popolare di gente del posto contro l’abbattimento della flora patogena presente nel territorio, da mettere “in quarantena” per un raggio di almeno 100 metri. Perché secondo te ciò accade? A prevalere non dovrebbe essere, invece, la prevenzione degli appezzamenti ancora sani?
Al di là dell’aspetto sentimentale della cosa, a preoccupare sono i mancati sovvenzionamenti che deriverebbero dall’estirpazione degli alberi infetti. Le zone interessate sono tre: zona infetta, zona di contenimento e zona cuscinetto. Quest’ultima è la più soggetta a controlli, ma anche la più appetibile dal punto di vista commerciale. Capisci bene quanto lo scontro etico e remunerativo sia inevitabile.

Come credi possa migliorare la situazione?
Attraverso la ricerca. Può sembrare banale ammetterlo, ma solo con l’attenzione possiamo salvaguardare il nostro habitat. Raccogliere foglie e farle analizzare in laboratorio servirebbe a poco se non ci fosse la reale intenzione di amare le nostre radici.