Lo scorso 10 dicembre, a Oslo, si è tenuta la cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace 2014 i cui assegnatari sono stati: Malala Yousafzai, diciassettenne pachistana, sopravvissuta ad un brutale attentato terroristico per mano dei talebani, che si batte per il diritto all’istruzione delle bambine nel suo Paese e nel resto del mondo; e Kailash Satyarthi, sessantenne indiano che lotta contro il lavoro minorile.

Provenienti da due Paesi in perenne conflitto tra loro, i due vincitori del premio Nobel dimostrano che non esistono bandiere da issare né confini da definire quando si tratta di difendere i diritti dei più deboli. Ben si comprende come nel caso specifico i deboli siano i bambini, troppo spesso vittime di violenze e soprusi che sottraggono loro la possibilità di un’infanzia felice.
“Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo”, così ha parlato Malala alle Nazioni Unite: è chiaro, dunque, che il diritto all’istruzione assuma un ruolo determinante nella crescita di ogni bambino, uomo e cittadino del domani.
Non a caso la Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 26, oltre a riconoscere il diritto all’istruzione ad ogni individuo, sancisce l’obbligatorietà dell’istruzione elementare e che almeno per le classi primarie la formazione debba essere fornita gratuitamente. Di notevole rilevanza è quanto il suddetto articolo statuisce al secondo punto: “L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace”.

Ancora più incisivo a proposito sembra l’articolo 2 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno”.
Non è da meno la Costituzione italiana che all’articolo 34 dichiara che “la scuola è aperta a tutti” e aggiunge che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi”. Dunque, l’istruzione non solo va garantita ai minimi livelli, ma è necessario supportare l’impegno di chiunque desideri avanzare negli studi sebbene non disponga personalmente delle risorse necessarie.

Se un bambino deve andare a scuola, non può andare a lavorare. L’impegno di Kailash Satyarthi è fondamentale in questo verso. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro condanna duramente il lavoro minorile e nella relativa Convenzione 182/1999 ne denuncia le “forme peggiori”, espressione che ai sensi dell’articolo 3 del suddetto documento include: “tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l’asservimento, il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati”; “l’impiego, l’ingaggio o l’offerta del minore a fini di prostituzione, di produzione di materiale pornografico o di spettacoli pornografici” e “ ai fini di attività illecite, quali, in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti”; “qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore”.

Interessante a riguardo è l’intervento di Fernand Kikongi, presidente della Confederazione sindacale del Congo, che, al colloquio internazionale organizzato a Bruxelles in occasione del 75° anniversario dell’OIL, ha manifestato l’esigenza di far figurare prioritariamente l’istruzione nelle riforme economiche e nei programmi d’azione dei Governi. La sua riflessione cade sul paragone tra un bambino europeo e un suo coetaneo africano: il primo gioca con la tastiera di un computer; il secondo gioca coi tappi delle bottiglie e impara a leggere e a scrivere sotto un albero, all’aria aperta, seduto a terra, con in mano una lavagnetta o un quaderno senza fogli, insieme ad altri 90 allievi che si sforzano di ascoltare la voce del loro unico insegnante, lontano e malpagato. Finché persisterà una simile disparità non ci sarà futuro!

È, quindi, evidente il valore di battaglie come quelle che, con modalità differenti, conducono Malala e Kailash. Però è importante sottolineare che, oltre alla lodevole dedizione di singolari personalità come queste, è essenziale l’intervento da parte degli Stati e dell’intera comunità internazionale. Lo scenario che ad oggi ci viene offerto è drammatico e va fatto ancora molto (forse troppo!) perché il diritto all’istruzione non rimanga carta morta e il suo carattere universale e imprescindibile divenga effettivo.
Affiora spontaneo il pensiero verso l’ultimo degli innumerevoli accadimenti che hanno sconvolto il mondo: la strage alla scuola di Peshawar, in Pakistan, ancora per mano dei talebani, che è costata la vita a più di un centinaio di bambini e ragazzini (i dati parlano di circa 140 morti!). La sacralità di un luogo come la scuola profanata dalla follia di uno spietato regolamento dei conti!
Il pensiero lo rivolgiamo a tante realtà che resistono coraggiosamente a ingiuste politiche di oppressione: la Scuola di Gomme nel campo beduino palestinese di Khan al Ahmar, situato tra Gerusalemme e Gerico, ne costituisce un esempio ammirevole. Oltre duemila pneumatici impiegati per il diritto all’istruzione dei bambini appartenenti alla comunità Jahalin!

Il pensiero lo rivolgiamo anche e soprattutto ai bambini più fortunati, che non conoscono la guerra, né la povertà, né il lavoro forzato e hanno il privilegio di andare scuola. A loro, quando fanno i restii e si lasciano sopraffare dalla pigrizia, indirizziamo la seguente dedica:
«Pensa, la mattina, quando esci, che in quello stesso momento, nella tua stessa città, altri trentamila ragazzi vanno come te a chiudersi per tre ore in una stanza a studiare. Ma che! Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi; […] immagina questo vastissimo formicolio di ragazzi di cento popoli, questo movimento immenso di cui fai parte, e pensa: — Se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo. — Coraggio, dunque, piccolo soldato dell’immenso esercito. I tuoi libri son le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana. Non essere un soldato codardo, Enrico mio» (dal libro Cuore, di Edmondo De Amicis).