Non-ti-scordar-di-me, non-ti-scordar-di-noi, non ti scordar del “Medz Yeghern”, del Grande Male, come lo chiamano gli Armeni.

Per commemorare il primo genocidio del ventesimo secolo le cui celebrazioni partiranno il prossimo 24 aprile, è stato scelto come simbolo il “non ti scordar di me“, fiore che sboccia in primavera, simbolo del ricordo con i suoi petali azzurri . Non scordiamoci quindi di ricordare una primavera di 100 anni fa, una primavera che ha segnato l’inizio di un crimine orrendo  che la Turchia si ostina ancora a negare.

Parliamo del genocidio armeno, dello sterminio di almeno un milione e mezzo di armeni ad opera dei Turchi di cui quest’anno ricorre il centenario.

L’ Armenia, uno stato lontano, ma pieno di storia. Dei suoi confini originali è rimasto pochissimo, il suo territorio attuale è solo una piccola porzione di quella che fu l’Armenia storica, il suo popolo da secoli è costretto a una diaspora per il mondo. Geograficamente fa parte dell’Asia. L ‘Armenia però da sempre è considerato uno stato europeo. Tali si considerano gli Armeni per ragioni storiche e politiche e non meno religiose dato che è stato il primo Stato ad adottare il cristianesimo come religione di Stato. Era il 301 d.C.

È proprio la sua appartenenza, il loro sentirsi europei e parte dell’Occidente con la loro religione (cristiana ortodossa) ad aver spinto gli ottomani prima e i turchi dopo a sterminare gli armeni, ad ucciderli, a perseguitarli per creare uno Stato, quello turco, fatto solo di turchi.

La Turchia oggi continua a negare il genocidio degli armeni. In Turchia parlare del genocidio è un reato. Del resto, la cronaca di questi giorni riporta la dura reazione che il Governo Turco ha messo in atto nei confronti, niente meno, che di Papa Francesco, “reo” di aver rotto il velo di omertà che copre il genocidio armeno. Invece, per 23 Stati, compresa quasi tutti quelli d’Europa e gli Usa, lo sterminio c’è stato e la Turchia deve ammetterlo, se vuole continuare a sperare di entrare nell’Unione Europea.

Ma perchè gli Armeni non erano graditi in un Paese, l’antica Anatolia, in cui vivevano da secoli e a cui avevano dato tanto in termini economici e culturali ?

Una prima ondata persecutoria contro la numerosa comunità armena che vive a Costantinopoli (capitale dell’impero ottomano, l’odierna Istanbul) parte nel 1894.
L’impero Ottomano è in crisi, il sultano Abdul Hamid II teme che gli armeni si alleino con la Russia per reclamare l’indipendenza . Il sultano arma i curdi che distruggono e incendiano  molti villaggi armeni. Muoiono 50.000 persone.

Ma non è ancora lo sterminio vero e proprio. La “soluzione finale” o genocidio (termine che sarà coniato da Raphael Lemkin riferendosi allo sterminio armeno) per liberarsi degli Armeni è ideata e messa in atto vent’anni dopo. Il grande Impero Ottomano è caduto, al potere in Anatolia salgono i “giovani turchi”, un gruppo politico che fa del nazionalismo la sua bandiera. L’obiettivo dei giovani turchi è creare uno stato turco con una popolazione ed un’etnia unica. Solo turchi, quindi, e ovviamente solo mussulmani. Nei piani e nei sogni dello Stato erede dell’impero ottomano, voluto dai giovani turchi, non c’è posto per altre religioni, per altre etnie, non c’è posto per i Greci, per gli Assiri e soprattutto per i due milioni di Armeni che da secoli vivono a Costantinopoli e nei territori dell’ex impero ottomano.

Non è un caso se la data scelta per ricordare il genocidio è il 24 aprile, poiché fu il 24 aprile del 1915 l’inizio ufficiale dello sterminio degli Armeni, la data simbolo di questo crimine negato, e perché è il giorno in cui improvvisamente iniziano a sparire centinaia di armeni.

I giovani turchi partono dalla cultura, sopprimono le guide pensanti della comunità armena. La notte del 24 aprile vengono arrestati scrittori, giornalisti, medici, filosofi ed anche alcuni parlamentari . In quella notte spariranno 300 persone, la loro meta sarà il deserto dove troveranno la morte.

Alcuni giorni dopo sarà la volta del clero armeno. Sacerdoti, vescovi, lo stesso arcivescovo di Costantinopoli, spariranno. Questa volta gli armeni vengono privati delle loro guide spirituali. I beni degli Armeni saranno confiscati. Serviranno a finanziare la prima guerra mondiale.

Nei mesi successivi, a partire da maggio del 1915, migliaia di civili armeni saranno deportati verso il deserto in quelle che tutti, anni dopo, parlando degli Ebrei, chiameranno “marce della morte”.

Anche per gli Armeni la fine ha un nome, come Auschwitz e Mathausen per gli ebrei: il deserto siriano di Der el Zor. Lì sono diretti treni carichi di gente , uomini donne e bambini che spesso moriranno di stenti lungo il tragitto . I sopravvissuti moriranno bruciati vivi nel deserto, gettati in caverne o annegati nel fiume Eufrate. L’Occidente, non fa nulla, forse non sa nulla e se alcuni alleati dei turchi sanno, accettano tacitamente questa violenza perché, in fondo, c’è la guerra.

Alla fine della prima Guerra mondiale, il trattato di Sevrès getta le basi per la nascita di uno stato armeno indipendente. I giovani turchi trovano la scusa ufficiale per legalizzare la deportazione degli Armeni. Il massacro legale ha ragioni politiche e di sicurezza nazionale, sarà ed è ancora oggi un “momentaneo trasferimento”. Gli Armeni rappresentano un pericolo per la nazione con la loro voglia di indipendenza, adesso è lecito ucciderli, è giusto confiscare i loro beni.

La marcia della morte in questa seconda ondata di deportazione è verso la città di Aleppo. Nel cammino, migliaia di Armeni, donne e bambini inclusi, moriranno di stenti, di freddo, di epidemie, saranno uccisi, abbandonati moribondi per strada. Ad alcuni bambini verranno inchiodati ferri di cavallo ai piedi, treni carichi di Armeni verranno dati alle fiamme.

L’ultima ondata di persecuzioni terminerà nel 1922. Al potere c’è Kemal Atatur. Sarà lui che si prenderà, davanti alla nazione turca, il compito di eliminare la presenza armena dalla Turchia una volta per tutte. La loro unica speranza per sopravvivere sarebbe stata quella di convertirsi all’Islam. Migliaia di bambini saranno islamizzati per sfuggire a morte certa e conservare, con la loro esistenza in vita, la presenza armena in Anatolia.

Al popolo armeno era stata data una patria nel 1920, ma la libertà sarebbe durata poco, poiché ben presto il loro territorio fu inglobato nell’Unione Sovietica. L’Armenia ritroverà finalmente l’indipendenza al crollo dell’ URSS, nel 1991. Dopo secoli di diaspore, violenze e oppressione, gli Armeni avranno il loro Stato dove poter professare in pace il loro credo cristiano e poter guardare all’Occidente. Ma non sarà mai più come prima. Molta parte dell’Armenia storica diventerà parte della Repubblica di Turchia, e gli armeni emigreranno per il mondo. Peserà, inoltre, la mancanza di oltre un milione di persone, le intere generazioni e famiglie distrutte e spazzate via dallo sterminio.

Se la Turchia si ostina a negare il genocidio degli armeni, non può negare la deportazione, in quanto documentata da testimonianze e foto ( tra cui quelle importantissime di Armin T. Wegner, ufficiale tedesco che prestava servizio in Anatolia) ma giustifica quelle azioni chiamandole “momentanei trasferimenti“.

Le motivazioni al trasferimento?

Per i Turchi gli Armeni erano pericolosi, reclamavano indipendenza, volevano unirsi alla Russia cristiana e avrebbero potuto causare disordini. È per questo che le autorità turche li hanno trasferiti nel deserto. Perché sono morti? Malattie, freddo, fame, insomma è stato il caso e poi, lo abbiamo già detto, c’era la guerra. Questa la giustificazione del governo turco! Una giustificazione che non basta, che non può bastare.

L’Unione Europea è nata dalle ceneri della guerra, dai morti causati dai totalitarismi, e da 60 anni è simbolo di libertà, di uguaglianza, di democrazia, di rispetto dei diritti umani. Di quest’Unione fa parte anche uno Stato, la Germania, che ha dato vita a un genocidio costato la vita a sei milioni di ebrei. Ma la Germania ha ammesso le sue responsabilità, ha chiesto perdono. È per questo che sarebbe inaccettabile accogliere chi desidera beneficiare dei privilegi che derivano dal far parte dell’Unione Europea, ma poi non permette ad un armeno di entrare nei confini turchi. Nessuno dei responsabili del genocidio ha pagato, la Turchia continua a negare la verità e la dignità della memoria a un milione e mezzo di persone. All’Armenia è stata assegnata una piccola parte di terra, niente, rispetto al suo territorio originario.

Persino il suo monte, il simbolo del paese, l’Ararat è parte della repubblica di Turchia.
Quel monte, il luogo in cui secondo la Bibbia si è posata l’Arca di Noè, è visibile dalla capitale armena, Yerefat. È lì da millenni, immobile col suo carico di ricordi e storia. Agli Armeni non resta altro da fare che guardarlo con nostalgia, magari con un fiore dai petali azzurri in mano, mentre voci lontane sembrano sussurrare: non-ti-scordar-di-noi.