Le mutilazioni genitali femminili (MGF) costituiscono ad oggi una pratica non ancora estinta, principalmente diffusa in Africa pur registrandosi casi in Asia e in Medio-Oriente. Esse consistono nella rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili, così come in altre lesioni agli organi genitali della donna, eseguite per motivi non terapeutici. Si stima che il numero di donne sottoposte alle MGF nel mondo sia compreso tra i 100 e i 140 milioni, con un aumento di circa 3 milioni ogni anno. Ne sono coinvolte soprattutto bambine e adolescenti, ma anche donne adulte. Il tema, largamente trattato dalla comunità internazionale, si inserisce all’interno di un quadro più ampio e generale: quello della universalità dei diritti dell’uomo in contrasto con il relativismo degli stessi scaturente dalle diversità culturali.

Proviamo ad individuare quali dei diritti fondamentali ne risultino compromessi.

Primi fra tutti, rilevano il diritto all’integrità fisica e il diritto alla salute. L’Organizzazione mondiale della sanità ha difatti affermato la gravità delle conseguenze che ne derivano sul piano psicofisico nel breve e nel lungo termine, vale a dire: emorragie anche mortali, infezioni, shock, cisti, problemi urinari, difficoltà nei rapporti sessuali e potenziali pericolose complicanze per il parto. Tale denuncia induce ad evocare l’interdizione della tortura nonché l’interdizione dei trattamenti disumani e degradanti. Peraltro ne esce leso il diritto alla vita privata per i minori, difatti le MGF, quando attuate sulle minorenni, vanno a causare danni irreversibili su soggetti non in grado di darne il previo consenso e che non ricevono una congrua e sufficiente informazione a riguardo. A ciò si aggiunge l’interdizione della discriminazione in riferimento a quelle donne che rifiutando di sottomettersi a tali pratiche sono destinate all’esclusione dalla comunità di appartenenza.

Distinguendo il caso in cui siano coinvolte bambine e adolescenti da quello in cui lo siano donne adulte, ricaviamo il primo punto di contrasto tra universalità dei diritti in questione e relativismo culturale. Per i minori infatti entra in gioco il diritto dei genitori e delle famiglie in generale a educare i propri figli secondo gli orientamenti che preferiscono. In effetti, se da un lato tale ultimo diritto sia considerato tra i fondamentali, pur trovando esercizio da e all’interno di un “relativo” background culturale, e sia invocato al fine di preservare radicate tradizioni locali di cui le MGF rappresentano il frutto, dall’altro lato la sua estensione potrebbe all’occorrenza incontrare restrizioni.

Stesso discorso vale anche per le donne adulte che più o meno liberamente vi acconsentono?

La risposta non è di facile formulazione. Innanzitutto specifichiamo l’espressione “più o meno liberamente”: acconsentire perché persuase o al contrario perché pienamente consapevoli fa la differenza. A questo punto della nostra analisi il rischio è di cadere in una forma di imperialismo culturale vigorosamente criticato dalla corrente relativista sui diritti dell’uomo, la quale in sostanza vede la persona come membro di una comunità i cui valori non sono probabilmente ripetibili in altri ambienti. Di fronte ad una simile frattura sembra che la comunità internazionale voglia porre l’attenzione sull’importanza che assume il ruolo dell’informazione ai fini di garantire ad ogni modo il carattere universale dei diritti dell’uomo nel senso pratico e non solo teorico e soprattutto una rivendicazione consapevole degli stessi da parte di chi ne gode la titolarità.

Significativa è la Raccomandazione generale n. 14 del Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne la quale in materia di circoncisione femminile raccomanda agli Stati Parti di impegnarsi a cambiare mentalità adottando misure appropriate ed efficaci: la collaborazione del settore sanitario e dei professionisti che lo coordinano perché agiscano in questa direzione e ne siano incoraggiati insieme alle maggiori personalità politiche e religiose, la divulgazione dell’informazione a partire dalle università e in ogni centro educativo.

Citiamo anche la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica che include nel suo campo di applicazione le MGF, dedicandovi l’intero art. 38 e che nella sezione relativa agli obblighi generali delle Parti all’art. 13 sottolinea l’esigenza della sensibilizzazione rivolta al grande pubblico.

Un esempio (si auspica in positivo) lo fornirà la Nigeria che di recente ha dichiarato illegale la mutilazione genitale femminile con legge nazionale: senza dubbio un enorme passo avanti che però va necessariamente accompagnato dai programmi di educazione sopra descritti.