Il 15 aprile 2011, quando si seppe della morte di Vittorio Arrigoni, vivevo in Palestina da qualche mese anch’io. La tragica e incomprensibile morte dell’attivista e scrittore italiano, sconvolse l’opinione pubblica di mezzo mondo, ancor più la comunità di italiani che vivevano fra Gaza e la Cisgiordania di cui facevo parte. Sull’onda emotiva, il giorno seguente, mi sentii di scrivere “qualcosa” per celebrare la figura di Vittorio. La mandai ai giornali in Italia e, forse in conseguenza della sua intensità, fu ripresa da diverse testate on line e cartacee. Ho deciso adesso di riproporla uguale in occasione del sesto anniversario dalla sua morte, perché ancora oggi non avrei molto da aggiungere a quelle righe, e perché a parlare di uomini e di gesta come quelle di cui trattiamo nel caso di Vittorio, non si sbaglia mai.

«Quando è morto Vittorio Arrigoni a me si è rotto il letto. Sono anch’io volontario in Palestina, in Cisgiordania, e steso sul letto rotto, in bilico su un lato, ho pensato “ma non potevo restarmene in Italia?!”. Poi ho visto la foto di Vittorio, con rotto il naso e vergognandomi mi son chiesto se anche lui non avesse pensato alla stessa cosa. Chi lo conosce quì dice di no.

Quando è morto Vittorio Arrigoni hanno detto che è stato perché diffondeva i vizi dell’occidente. Io dico invece che per una volta qualcuno è morto per diffonderne le virtù.

Quando è morto Vittorio Arrigoni io stavo suonando “italiano vero” in un istituto per ragazzi vittime di violenza a Betlemme, senza sapere che di li a poco la verità sugli italiani mi si sarebbe fermata in gola.

Quando è morto Vittorio Arrigoni avevo da finire un lavoro, ma per tutto il giorno non ho fatto altro che leggere e rileggere gli articoli che ne parlavano. Li borbottavo fra me e me a labbra strette, come la sequenza cadenzata di un rosario, ma erano articoli di giornale, forse per non dare la soddisfazione a preghiera alcuna.

Quando è morto Vittorio Arrigoni l’ennesimo straniero mi ha chiesto come fanno gli italiani a votare ancora gente come Berlusconi, io gli ho risposto che il vero mistero è come fanno a votare Berlusconi e intanto a regalare alle cause del mondo gente come Vittorio Arrigoni.

Quando è morto Vittorio Arrigoni è stato ucciso da un gruppo armato salafita più estremo rispetto ad Hamas che governa Gaza, che è estremista rispetto a Fatah che governa la West Bank, unico interlocutore nei processi di pace con Israele che però non vuole la pace. Allora ho capito che noi volontari qui stiamo aiutando una causa se non persa, perlomeno dispersa.

Non appena rapito Vittorio Arrigoni tutti hanno condannato il gesto, condannando anche lui.

Quando è morto Vittorio Arrigoni l’ho detto alla mia collega palestinese e il suo problema è rimasto comunque il fatto che non facesse in tempo a farsi la tinta ai capelli. Sua sorella è morta innocente durante la seconda intifada e lei è sopravissuta al dolore, figuriamoci per uno che se l’è andata a cercare.

Quando è morto Vittorio Arrigoni ho capito che andarsela a cercare è compito di ogni uomo, bisogna dismettere l’accezione negativa di questa espressione, che a farsi bastare ciò che si ha son buoni tutti.

Quando è morto Vittorio Arrigoni ho smesso di pensare che il lavoro silenzioso dei volontari fosse più produttivo di quello chiassoso degli attivisti. Il primo è stato quando Vittorio ha preso fiato, il secondo quando ha urlato contro il mondo.

Quando è morto Vittorio Arrigoni ho pensato che la striscia di Gaza è grande quanto la provincia di Monza e ci avrebbero messo 2 ore a trovare i 4 salafiti. Evidentemente il mondo è piccolo per rincontrare gli amici, ma enorme per rintracciare i nemici.

Quando è morto Vittorio Arrigoni, ero vicino la chiesa della Natività ed ho pensato che la Terra Santa non è mai paga di Cristi che si sacrificano per lei.

Quando è morto Vittorio Arrigoni ho sentito l’esigenza di dire qualcosa sulla faccenda, ma forse solo perché sono anch’io volontario in Palestina, altrimenti un link postato da qualche parte sarebbe bastato ad assolvermi. Ho cercato di dare sistemazione organica ai miei pensieri ma non ci sono riuscito e li ho scritti come sopra. Non ci sono riuscito perché in questa storia non c’è una trama, non c’è un filo conduttore, un uomo muore per mano di chi voleva aiutare. A questo punto una fine vale l’altra. Ecco quella di questo mio sfogo.

Quando è morto Vittorio Arrigoni ho pensato che egli stesso, con la sua morte, ha sconfessato il monito che dà il titolo al suo libro, quello di restare umani. In alcuni casi l’umanità sembra limitativa, leggendo di Vittorio si sente l’odore della santità. Allora ho pensato che a Vittorio Arrigoni è successo come all’8 che una volta che è orizzontale diventa l’infinito, la cosa brutta è che non lo sa».

 


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"Andrea Colasuonno nasce ad Andria il 17/06/1984. Nel 2010 si laurea in filosofia  all'Università Statale di Milano con una tesi su Albert Camus e il pensiero meridiano. Negli ultimi anni ha vissuto in Palestina per un progetto di servizio civile all'estero, e in Belgio dove ha insegnato grazie a un progetto dell'Unione Europea. Suoi articoli sono apparsi su Nena News, Lo Straniero, Politica & Società, Esseblog, Rivista di politica, Bocche Scucite, Ragion Pratica, Nuovo Meridionalismo.   Attualmente vive e lavora a Milano dove insegna italiano a stranieri presso diversi enti locali".