4 amici,  4 comunità di Terra Madre, 4 mesi: 1 documentario

Memoria Nueva, ovvero: “Partiamo il 26 settembre e per 4 mesi vivremo nelle comunità indigene del Sud America. Prima tappa Brasile, poi Messico e Colombia. L’idea è quella di girare un documentario sulla resilienza enogastronomica dei villaggi in cui staremo”.

A parlare è Agostino Petroni, 25 anni. Del cibo, della sua tutela e valorizzazione, Agostino ha fatto la sua missione di vita. Nato e cresciuto ad Andria, per diversi anni vissuto all’estero, infine si è laureato all’Università di Scienze Gastronomiche di Slow Food.

Quella di un documentario sui cibi tradizionali delle comunità fra le più appartate del mondo è un’idea che ha valutato per diverso tempo. Oggi finalmente sembra potersi realizzare grazie anche a suo fratello Stefano, 22 anni, filmmaker, nonché a Sava Riaskof e Luke Namer, olandese l’uno e americano l’altro, che prenderanno parte alla spedizione. Gli chiedo cosa intenda per “resilienza enogastronomica”.

“Per essere chiaro devo spiegare che le comunità in cui vivremo sono quelle del circuito Terra Madre. Questa è la rete pensata da Slow food per raccogliere chiunque sia impegnato a produrre il cibo in maniera sostenibile, stando attendo a preservarne la biodiversità. Noi andremo in questi villaggi con la lente d’ingrandimento del cibo, interessati a indagare le loro storie di battaglie per preservare i propri alimenti tradizionali. Detto altrimenti: come è riuscita questa gente, nonostante le pressioni dei governi e delle multinazionali, a continuare a coltivare il cacao o i fagioli come ha sempre fatto per migliaia di anni? In sostanza proveremo a raccontare storie di coraggio, perché in realtà è questo che sono. È stato un lavoraccio organizzare il viaggio. Ci abbiamo messo in tutto 3 mesi e mezzo per contattare i villaggi e programmare la nostra permanenza lì”.

Come mai proprio il Sud America?

All’inizio avrei voluto fare un giro di 6 mesi in 6 diversi Paesi del mondo. Toccare quindi Cuba, Bolivia, Filippine, Kazakistan, Uganda, poi però il tutto sarebbe costato davvero troppo. Quindi abbiamo ridotto al Sud America che è una delle zone in cui più si concentra quel tipo di resilienza di cui noi siamo alla ricerca. Io poi in Sud America ho vissuto per qualche anno, prima in Argentina, poi in Brasile, inoltre ho una parte di famiglia che vive in Colombia. Mi sento molto a casa lì. Parlo spagnolo e portoghese, così anche gli altri che viaggeranno con me. Tutte cose che sono convinto ci aiuteranno ad avere un approccio più diretto e rilassato con chi incontreremo.13892325_1003593299757121_2592313914759227834_n

Il tuo essere pugliese quanto ha influito sulla tua attenzione verso il cibo, in particolare verso il tipo di cibo di cui stiamo parlando?

Tantissimo. Questo progetto è la fine di un percorso, non è un’idea estemporanea nata da un giorno all’altro. Tutto il tempo che ho passato all’estero – è da quando ho 16 anni che non vivo più in Puglia – mi ha aiutato un sacco a raggiungere certe consapevolezze. Più vado in giro e più mi rendo conto della ricchezza che abbiamo nella nostra regione: la nostra terra è baciata dalla fortuna enogastronomica. E poi, a questo proposito, mi tocca citare mia nonna. È lei che mi ha insegnato a fare la pasta, la focaccia, gli gnocchi. Ricordo che facevamo lunghe passeggiate in campagna e intanto m’insegnava i nomi delle varie erbe. Inutile dire che poi la cosa mi è tornata utile negli ambiti più disparati. Ad esempio a New York, tutti quelli che poi sono diventati i miei amici, li ho trovati perché durante una serata ho proposto per la settimana dopo una cena in cui io avrei insegnato a fare la pasta. Così ho conosciuto 40 persone in un colpo, che poi sono diventate la mia famiglia americana. Con loro ho fatto viaggi, feste, giri per la città, eventi: tutto grazie a un piatto di pasta.

La Puglia sembra una Regione molto attenta ai temi di cui parli. Ovunque fioccano ristoranti tradizionali, sagre, degustazioni. Alle volte però si ha l’impressione che si tratti solo di una questione retorica: è una cosa che vende dal punto di vista del marketing e quindi ci si marcia sopra. Secondo te è così o davvero da noi si sta lavorando alla ricerca, al recupero e allo sviluppo in ambito gastronomico?

Difficile dirlo, sicuramente quelli che ci marciano sopra ci sono. Quello che posso assicurarti è che tantissimi amici, anche della mia età, vissuti all’estero, che hanno girato il mondo, oggi stanno tornando in Puglia. E lo stanno facendo per mettersi a coltivare, o comunque per avviare progetti in questo ambito. Sono sperimentazioni di alta qualità: prevedono ad esempio il recupero di tipologie di semi o di varietà di frutta quasi totalmente scomparsi. Ciò che posso dire dunque è che il cosiddetto ritorno alla terra c’è davvero, ed è un ritorno consapevole. L’idea di lavorare in una multinazionale tutta la vita sembra affascinare sempre meno.

Come finanzierete il vostro progetto?

C’è una campagna di crowdfounding che parte proprio oggi, primo settembre. Cercheremo di raccogliere 25 mila euro per pagarci le spese di viaggio, comprare l’attrezzatura e per la fase di postproduzione del documentario. Tutte le informazioni per seguire il progetto ed eventualmente donare sono sulla pagina facebook e sul sito internet di Memoria Nueva. Il tutto andrà avanti per circa un mese. Prima di partire l’ultimo appuntamento sarà al Salone del Gusto di Terra Madre. Il 23 settembre presenteremo il progetto al Parco del Valentino, a Torino, nello spazio dell’Università di Scienze Gastronomiche. Subito dopo partiamo. L’entusiasmo è a mille, tutto è pronto e che Dio ce la mandi buona.


1 COMMENTO

  1. Interessante intervista alla ricerca e valorizzaione della biodiversità. Una prospettiva che si fa sempre più strada tra chi ama veramente la vita in tutte le sue manifestazioni, e quindi la Terra.
    Grazie

Comments are closed.