Fu Grancontessa, Duchessa, Marchesa, guerriera, donna bellissima piena di coraggio, ma anche grande cristiana dedita alla preghiera. Per quattro anni fu anche Regina d’Italia, la prima Regina d’Italia. Celebre è la sua firma, non un elenco dei suoi titoli, ma un disegno, una specie di logo che tanto andrà di moda diversi secoli dopo. Quelle parole separate da una croce sono la firma di una delle donne più importanti del Medioevo italiano e di tutta la storia,  la donna che per anni ha cercato di mediare tra i due grandi poteri del secolo buio, papato e impero.

Paladina della libertà d’Italia e modello per ogni vera cristiana,  Matilde, Marchesa di Canossa, colei che più di ogni altra fu coinvolta nelle macchinazioni e intrighi della lotta per le investiture, moriva a Bondeno, vicino Reggio Emilia, la notte tra il 24 e il 25 luglio 1115, 900 anni fa. Di stirpe longobarda, imparentata con tutte le famiglie reali dell’epoca, tra cui gli Svevi e i regnanti del Sacro Romano Impero,  Matilde, nata nel 1046 a Mantova, divenne unica erede dell’immenso feudo dei Canossa dopo la morte prematura dei genitori e dei fratelli.

Sposatasi con Goffredo il gobbo, duca di Lorena e acerrimo avversario dell’imperatore Enrico III, Matilde, alla morte del marito ereditò anche la Lorena e, giovane vedova trentenne, si ritrovò unica erede e signora di un territorio vastissimo che si estendeva dal lago di Garda a Viterbo.

Era il 1076. Pochi mesi dopo, la Marchesa, padrona incontrastata di mezza Italia, si trovò suo malgrado coinvolta nello scontro tra l’imperatore Enrico IV (suo cugino) e il pontefice Gregorio VII. Lo scontro tra le due potenze del tempo culminerà, com’è noto, con l’episodio celebre come “l’umiliazione di Canossa”, in cui Matilde proverà a mediare tra il papa e l’imperatore. È il 25 gennaio del 1077, a Canossa, nell’Appennino reggino, l’imperatore Enrico IV proverà ad ottenere dal papa Gregorio VII, ospite nel castello di Matilde, la revoca della scomunica. L’imperatore dovrà attendere tre giorni e tre notti fuori dal castello, al gelo, inginocchiato, mentre imperversava una bufera di neve. Enrico sarà ricevuto dal papa solo il 28 gennaio grazie alla mediazione di Matilde.

L’imperatore però non gradì molto l’ambiguità della Marchesa che, di lì a poco perderà tutti i suoi possedimenti, Enrico IV infatti sconfiggerà l’esercito comandato da Matilde nel 1079. Ma per la Granduchessa non era stata scritta la parola fine. Anzi, negli anni successivi condurrà personalmente dure battaglie contro l’imperatore per riottenere i suoi possedimenti e ne uscirà vittoriosa.

Nel 1111, Enrico V, ribellatosi al padre Enrico IV, divenne imperatore e nominò la Grancontessa Regina d’Italia e vicaria papale, carica che conserverà per quattro anni, ovvero fino alla morte avvenuta nel 1115, a 69 anni.

La Grancontessa non lasciò eredi, il suo regno si frantumò, ma il suo mito continuò a vivere nel cuore dei suoi sudditi, da cui era amatissima. Matilde fu infatti una gran dama in tutti i sensi, era colta, bella, conosceva i segreti delle armi e della diplomazia. Riuscì per un trentennio a gestire i problemi geopolitici dell’Italia del tempo, regnando su un territorio compreso tra papato e impero. Governò con giustizia, emanando leggi e combattendo per ciò in cui credeva: la Chiesa. Non a caso Matilde ora riposa nella Basilica di San Pietro, in una tomba progettata dal Bernini intitolata “Onore e Gloria d’Italia”. La Grancontessa infatti, guidata da fede e amore per l’Italia, aveva come unico scopo quello di tenere lontani gli stranieri del Sacro Romano Impero dal Belpaese.

Matilde fu una combattente in tutti i sensi. Non solo si adoperò con armi diplomatiche per riavere i suoi possedimenti, tra cui un secondo matrimonio mai consumato con Guelfo V, ma più volte guidò i suoi eserciti sul campo, in sella a un cavallo come una vera guerriera, combattendo gli avversari, uccidendo il nemico per difendere ciò che amava più al mondo: la fede cattolica.

Vi dicevamo della sua firma. Eccola: «Mathilda Dei gratia si quid est», ovvero: «Matilde, che è qualcuno solo per grazia di Dio».