Essere simpatici è un requisito fondamentale se ci si vuole approcciare ad altre persone. La simpatia, parola che deriva dal greco “sympàtheia”, indica qualcosa che va al di là del semplice significato che oggi viene attribuito al termine. La parola deriva infatti da “pàthos”, che  significa “affezione”. Ciò è indice di una potenziale condivisione dei sentimenti, che porta ad esternare le proprie emozioni nel caso di legami amicali caratterizzati da fiducia ed affetto reciproco, ben più forti addirittura di alcuni legami chimici. Ci si sente come un corpo unico, un binomio indissolubile che insieme soffra o gioisca. Questa concezione dell’amicizia affonda le sue radici nei tempi antichi. Più di duemila anni fa, Aristotele delineò i due tipi di amicizia possibili: quella di virtù, che nasce solo fra uomini virtuosi, il cui fino ultimo è l’amicizia stessa, e quella di utilità, caratterizzata da relazioni ipocrite che un giorno potrebbero rivelarsi vantaggiose.

Dall’epistolario di Cicerone, e più precisamente dalle lettere “ad Atticum”, si evince la malinconia legata alla necessità della presenza di una persona amica, che possa essergli di sollievo. Nel De amicitia aggiunge che “la vita non è vita senza amicizia, se si vuole vivere da uomini liberi”.

Nella vasta storia della letteratura, numerosi sono gli esempi di amicizia intesa come condivisione. Emblematico è il legame fra Ranocchio e Rosso Malpelo, protagonista quest’ultimo dell’omonima novella di Giovanni Verga. Malpelo non solo sostenne in ogni modo il suo amico, ma, date le pessime condizioni di Ranocchio, utilizzò parte della sua misera paga per comperargli del vino e della minestra calda, oltre a donargli i suoi calzoni quasi nuovi. Tutto ciò a dimostrazione che la partecipazione alle sofferenze altrui significa per un amico farsene carico disinteressatamente. Malpelo anticipa così la figura di Fred Uhlman, il quale ne L’amico ritrovato afferma che avrebbe volentieri dato la vita per il suo amico Konradin, sarebbe stato pronto a morire per lui, e per di più con la gioia nel cuore. La letteratura insegna.

Tuttavia, questa partecipazione alle gioie ed alle sofferenza altrui, dei sentimenti in generale, è andata perdendosi nel tempo. Come afferma Maria Rodotà in un articolo pubblicato nel 2009 su “Il Corriere della Sera”: “L’amicizia si sta evolvendo da relazione a sensazione, da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno tiene per conto suo”. Cause dell’isolamento sono i social network, che tutto sono fuorché sociali, perché, quando apriamo i nostri computer, in realtà stiamo chiudendo le porte della nostra anima. Viviamo in delle “caverne elettroniche”, abbiamo più di duemila amici su Facebook, parliamo con loro ogni giorno, eppure vi è la netta sensazione che nessuno di loro ci capisca davvero. C’è differenza fra il guardarsi negli occhi quando si parla e gli smile delle chat. Viviamo in una società di gente isolata, che vive in funzione delle nuove tecnologie.

Ci piace tanto condividere virtualmente foto, canzoni e citazioni per esprimere i nostri stati d’animo, ma è davvero la stessa cose che condividerle con qualcuno?

Il silenzio pervade i nostri rapporti. Un esempio ci è offerto da quanto accade nei bar. Se dovessimo paragonare una foto scattata a dei ragazzi seduti a dei tavolini di un bar, al quadro di Guttuso “Caffè Greco”, emergerebbe subito una grande e preoccupante differenza. Nell’acrilico si può ben notare che molte delle persone raffigurate stanno piacevolmente conversando fra loro. Lo stesso non si potrà dire della nostra foto: occhi puntati verso il basso, fissi sullo schermo da due pollici e mezzo del nostro smartphone.

Il silenzio fa paura, ma a terrorizzare ancor più è l’apatia, l’incapacità di esprimersi e relazionarsi, lo sguardo perso nel vuoto delle persone con cui parliamo. Scrive Umberto Galimberti in un articolo pubblicato su “La Repubblica” il 26 gennaio del 2008: “Tuteliamo l’amicizia, forse è l’unico spazio che ci rimane per un residuo di sincerità”.

Forse un giorno torneremo a guardare il mondo con gli occhi innocenti di un bambino, a ridare valore allo sguardo di un amico che conta molto più di mille parole.