Noi italiani che abbiamo raccolto il testimone della civiltà dalla Grecia, e l’abbiamo esportata per secoli in tutto il mondo conosciuto, ora ci ritroviamo ad essere tra gli ultimi per il degrado delle istituzioni, per la corruzione dilagante in ogni settore dalla pubblica amministrazione, per la forte presenza delle organizzazioni criminali diffuse in tutto il territorio, per la debolezza delle istituzioni che dovrebbero guidare il progresso ma che si rivelano sempre più inefficienti ed incapaci di gestire tempi difficili come questi; ed i politici, presi come sono da lotte di interessi e di potere, continuano a lanciare messaggi di imminenti disastri o di illusorie riprese, e non hanno la capacità ed il coraggio, di alzare la testa e attuare soluzioni concrete per il futuro del Paese e per il bene di tutti.

Gli ex barbari del Nord Europa, da anni, ci stanno dando lezioni di comportamento civile, di organizzazione, di amministrazione che guarda al nuovo, non si lascia stancamente trascinare dai cambiamenti, ma ne anticipa le istanze: quando i nostri politici vogliono dare credito ai loro programmi, devono riferirsi a queste nazioni riportandole come modelli di società avanzata.

Ci vantiamo sempre del passato, della nostra storia, dei grandi artisti, scienziati, navigatori e condottieri, ma è da un bel pezzo stiamo vivendo (così come in economia) delle rendite della storia; rendite che si stanno esaurendo e che ci stanno trasformando in un museo immateriale, perché quello materiale lo stiamo depauperando.

In questo quadro così devastante, non mancano per fortuna coloro che tengono viva la fiammella delle nostre speranze. Imprenditori coraggiosi ed illuminati, sindaci ed amministratori coraggiosi, servitori dello Stato onesti; ma questa Italia che sta coltivando una pericolosa forma di qualunquismo, di tutti contro tutti, quando e come si deciderà a cambiare? O meglio quando ci renderemo conto che non siamo più i figli dell’impero o del risorgimento?

Nel passato avevamo due grandi riferimenti, erano le istituzioni che in origine hanno guidato gli uomini con una visione avanzata della società e del mondo: la Chiesa cattolica, e le organizzazioni sindacali. Ora sono in crisi, stentano a seguire l’evolversi delle istanze sociali, e per molti versi sono apparse negli ultimi decenni, garanti di posizioni conservatrici, se non peggio. Perché ciascuna nei propri tempi, ambiti e appartenenze, con scarso coraggio, ha tenuto più a difendere il territorio che a guardare a quello che stava accadendo fuori, senza utilizzare le proprie grandi potenzialità per riprendere il ruolo di guida etica e ideale per il futuro degli uomini, per vivere nel tempo contemporaneo, alzando l’asticella dei propri interessi e della partecipazione all’evolversi del mondo.

La Chiesa oggi, sta seguendo un tormentato cammino verso il riconoscimento di tante situazioni dimenticate e, messe o dismesse, nei sotterranei delle proprie convinzioni. C’è un Papa che ha dato una forte scossa al torpore nel quale sonnecchiava, stimolandola ad un impegno di evangelizzazione vicina agli uomini e non lontana mille miglia dalla vita reale. “ Guardare la nostra gente non per come dovrebbe essere ma per com’è, e vedere cosa è necessario”: questo, per credenti e non credenti è un vero programma religioso che sintetizza una sincera esigenza di cambiamento. Una trasformazione che nella società sta da tempo avvenendo lasciandosi alle spalle una gran parte della popolazione cattolica, ancorata com’è alle certezze incrollabili di comodo perché meno faticose da sopportare. E cambiare non significa adeguarsi passivamente alle nuove situazioni, con atteggiamenti di mezze e stentate concessioni; ma dovrebbe essere una prospettiva da cui guardare, con spirito rinnovato, a tutte le questioni che la vita attuale pone di fronte a velocità folle, a volte schizofrenica. A uno dei grandi temi della società qual è quello della diversità, ad esempio, il Pontefice ha risposto con poche parole ma in maniera esemplare dicendo “chi sono io per poter giudicare?”: un altro grande segnale per il mondo religioso. Forse ci è stata restituita la speranza (altro tema caro al Pontefice), linfa che muove continuamente il mondo; ma c’è da chiedersi fino a quando il mondo cattolico continuerà ad inseguire il mondo reale e non riprenderà un ruolo di guida credibile?

Il movimento sindacale dal canto suo, oggi in grave crisi, è accusato da ogni parte di essere il freno dello sviluppo per aver difeso ciecamente i privilegi ed il numero delle tessere. I sindacalisti sono ormai indicati da molti come una casta per molti versi simile a quella dei politici, che chiusa nella burocratica cecità ha contribuito alla distruzione di grandi aziende (vedi Alitalia), ha difeso spesso e volentieri i così detti fannulloni , ha sotterrato la meritocrazia per non turbare i vecchi iscritti, è responsabile della fuga degli imprenditori all’estero, etc Cos’è rimasto quindi dell’epica lotta sindacale, degli anni di lotta e di sacrifici degli operai ? Questa gravosa eredità è stata sperperata in una politica di pura sopravvivenza, senza uno straccio di programma nuovo, adeguato alla realtà del mondo del lavoro in continua crisi, che ha presentato il conto del precariato o peggio ancora della disoccupazione. Pare che gran parte dei suoi iscritti ormai sia formata da dipendenti pubblici e da pensionati; i precari e disoccupati non pagano tessere quindi non hanno peso nella vita e nelle decisioni, se non per qualche stancamente retorico annuncio, che però non contiene alcuna concretezza. Il 20 maggio 1970 , con l’approvazione della legge n.300, lo Statuto dei lavoratori, i sindacati ottenevano, dopo anni di lotta, il riconoscimento e la partecipazione attiva e dignitosa dei lavoratori alla vita dell’azienda. Una grande conquista, voluta da Giuseppe di Vittorio, il più grande dei sindacalisti, con la quale il lavoratore aveva le prime importanti tutele ed un ruolo attivo nelle fabbriche. Ma questo che doveva essere uno strumento dinamico di partecipazione alle vicende economiche, si è trasformato in un fortino nel quale i sindacati si sono arroccati senza avere una visione d’insieme del lavoro e della economia. Oggi si trovano spiazzati in una difficile situazione di stallo, per cui il quadro del lavoro è radicalmente cambiato e le tecniche della concertazione sono ormai impossibili da realizzare in eventi sempre più drammatici e incalzanti. Nel dopoguerra Di Vittorio, pur avendo radicati ideali comunisti, non esitò a spostare l’attenzione del movimento da una utopica e lontana rivoluzione proletaria ad una concreta battaglia dei diritti nelle fabbriche. E, dall’altro versante, Mario Romani, sindacalista cattolico, affermava che “non risulta possibile una situazione sindacale neutra nel senso che ci si possa preoccupare delle decisioni dei poteri pubblici senza avere idee e soluzioni in materia” , cioè “un sindacato che si adegui ai tempi deve essere capace di programmare rivendicazioni muovendosi in parallelo con la sviluppo del Paese” (da Repubblica –La storia d’Italia, 28 gennaio 1980- S. Fontana “la concezione sindacale della Cisl e la cultura cattolica”).

Oggi, molti ripongono nei giovani le speranze nel futuro per recuperare fiducia e tempo perduto, ma bisogna far presto, perché questa idea non diventi un semplice luogo comune, e prima che questi paladini dell’avvenire “vadano a male” come o peggio della generazione che li ha preceduti.

Aldo Tota


 

 

 

 

 


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