Conclude la X Settimana Biblica della Diocesi di Andria la Professoressa Lidia Maggi, teologa, pastora Battista, con il tema: “Farsi Prossimo: incontrare e vivere la Parola”

Professoressa Lidia, la Bibbia è patrimonio comune delle diverse tradizioni cristiane, ma, com’è noto, quando c’è di mezzo un patrimonio da ereditare, i parenti normalmente litigano. Anche per le Chiese è difficile sottrarsi a questo rischio?

La Chiesa non è il club dei perfetti, ma le Chiese sono fatte di persone, con le loro fragilità e le loro fatiche. Le Chiese sono state molto litigiose, si sono scomunicate, si sono negate, si sono fatte concorrenza scandalizzando il mondo, però poi è accaduto qualcosa: abbiamo ricevuto il dono dell’ecumenismo! Ci ha aperto le porte, ci ha strappato dai nostri recinti, ha sgretolato i muri ed oltretutto è stato un movimento profetico dal basso, fatto di gente semplice, che ha posto alle Chiese l’interrogativo di come presentare Cristo al mondo se poi si presenta un Cristo dilaniato, diviso. Le Chiese hanno abitato questa conflittualità molto alta e poi è cominciato questo processo di riconciliazione. Adesso possiamo voltarci indietro e guardare al cammino che abbiamo fatto, che ci ha reso più credibili ed anche più preparati per poter annunciare al mondo la riconciliazione non lo facciamo da primi della classe, perfetti, ma proprio a partire dalle nostre fragilità. Se persino protestanti e cattolici hanno fatto pace, può esserci la pace tra israeliani e palestinesi, in Siria, … Abbiamo sperimentato un tasso così alto di conflittualità eppure ci siamo sorpresi ad allargare le braccia in un abbraccio, nonostante tutti i pesi che abbiamo ricevuto in eredità. Altro che eredità della Bibbia, siamo nati con i macigni del conflitto sulle spalle, ma speriamo di consegnare una chiesa più “leggera”, più aperta, più solidale e accogliente!

A proposito della Parola di Dio, Lei richiama l’importanza della lettura quotidiana della Bibbia. È sufficiente aprire il Libro per incontrare e vivere la Parola?

Certo che non basta, però è un atto importante, perché aprire il Libro significa prendersi del tempo per mettersi in ascolto. E noi non siamo capaci di ascoltare! Anche quando creiamo il silenzio esteriore ci abita un chiasso interno. Aprire il Libro è mettersi in ascolto di una parola “altra”, esci dal tuo monologo, esci dai tuoi esclusivi desideri. Anche la preghiera alla luce del Libro è la preghiera, perché spesso preghiamo semplicemente dando voce ai desideri del cuore e invece la preghiera è un dialogo con Dio, che parla in maniera diretta, personale e comunitaria proprio nella Scrittura, dove si riascoltano le grandi narrazioni che hanno messo in moto un popolo, una chiesa… In realtà sottovalutiamo quanta forza ci sia nell’atto di prendere in mano la Bibbia e leggere! Poi, certo, non sappiamo più leggere, pensiamo che si tratti esclusivamente di codificare i caratteri, di mettere insieme frasi e invece è un atto più complesso, però lo impariamo ad iniziare da questo momento, in cui ci mettiamo di fronte ad un Altro che ci parla, che non è più parola scritta ma è voce!

A proposito di carità, vale sempre la pena ricordare nell’attualità il magistero di Paolo VI, che indicò nella politica una delle forme più alte di carità. Il Vangelo riguarda l’uomo politico?

Sì, riguarda il bene della città! Dio ha creato la Terra, non semplicemente la chiesa! Israele, il popolo di Dio, riceve una vocazione perché sia luce per le genti. Il nodo è nel rapporto tra laicità e religione confessionale. Il Vangelo parla davvero della vita, di come abitare la Terra con fedeltà. Rappresenta un altro modo di governare, in cui i piccoli sono presi sul serio, anzi sono innalzati, e i potenti sono abbassati. Ci muoviamo però in un contesto molto delicato, in cui la responsabilità di vivere la nostra vocazione di cittadini come cristiani non deve avere marcatori identitari. È l’errore che abbiamo fatto: abbiamo associato a realtà politiche marcatori confessionali. Credo invece che vi sia uno spazio laico, che è lo spazio di tutti, di tutte le voci, di tutte le fedi, anche di tutti coloro che non credono, come ci ricorda il magistero del card. Martini sul mettere in cattedra i non credenti.

Sapendo di metterla in difficoltà nel chiedere di parlare di sé, ma per il valore che ha una testimonianza di vita, le chiedo: Lei e suo marito vivete l’esperienza dell’accoglienza nella vostra casa; cosa significa per voi?

In realtà non abbiamo voluto testimoniare qualcosa, ma semplicemente vivere l’esperienza che nel momento in cui accogli ti lasci accogliere! Paradossalmente, mentre tu accogli una persona che racconta le proprie fatiche, ti senti contemporaneamente accolto. È una accoglienza reciproca, proprio nella doppia accezione del termine ospite, che indica chi è ospitato ma anche chi ospita. Nel momento in cui ricevi sei anche accolto e non c’è altro modo!

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