La neve ha raggiunto anche la quota più bassa. L’Italiano sfiduciato non ne aveva mai vista così tanta. In realtà non aveva vividi ricordi. Lui. Nel suo piccolo paese non era mai arrivata. “Non esistono più le mezze stagioni”, “Nevica anche qui”, “Oggi la città in tilt causa neve”, le frasi dei temerari del manto stradale innevato qui e li sporadicamente da sputi bianchi rassomiglianti candida neve.

Neve. Tilt. Ciak. Selfie. Il manto di Facebook innevato da una miriade di foto. Foto italianissime. Adolescenti in preda al selfie del “mi piace”. Temerari del pollice in su. Lo sa bene l’adolescente sfiduciato che a casa, causa neve, si ritrova a scrollare la home del social network invaso da musi da papera e fiocchi. Trend topic: #neve. Febbraio.

Come se gli italiani non l’avessero mai vista. Piacevole, pensa il ragazzo. In realtà è davvero piacevole, sì, scrollare il web e vedere amici e amiche divertite. Si ricorda dell’eterno pomeriggio noioso passato a scansare stati poetici, riflessioni astrali e foto piene di Mattarella. Una palla totale.

Tantissime condivisioni e 665 “mi piace”. Tanti amici, tutti amici. Facce divertite e lì, sull’uscio della porta d’entrata del Parlamento, lo zerbino pieno di patti, consultazioni, rancori, invidie e Razzi insonnolito. Dentro un mucchio di sorrisi, strette di mano, pacche (sulla spalla). Re Giorgio va di persona per assistere a l’ultima dell’eterno teatrino. “Ciao a tutti”, pensa in mente sua. Si paralizza. Circondato da teenager isteriche al concerto di Beyonce. Guarda fisso il vuoto, Re Giorgio. Quasi in lacrime, quasi a domandarsi “Perchè ci siamo ridotti così”. Abbandona tutte le sue colpe e i suoi rancori e sempre immobile si rende partecipe involontario dei selfie dei protagonisti di Montecitorio.

Parlamentari. Stessa storia delle foto ad un panda allo zoo di Roma. Ciao Giorgio, hai fatto il possibile, lo sappiamo. “Tutto new, una scelta easy”, come direbbe il Ragazzo d’Oro. Mattarella, nome secco. Plebiscito. “Menomale che ora inizia Sanremo” avrà esclamato lui. Il popolo avrà altro a cui pensare, il festival è quasi pronto. “Ancora con la storia delle due canzoni in gara?” – pensa la donna incollata alla TV – “Ma chi sono queste tre?”. Un tempo i nonni raccontavano dell’Ariston ai propri figli e nipoti. Le canzoni, la poesia, la voglia di essere italiani.

Italiani veri. Perline, fiori, gioielli, donne, musica, orchestre, giornali, gossip. Oggi, invece, inizia con la voglia di finire al più presto. Un anestetico. Un diversivo. Qualcuno, infimo, ha anche pensato che la scelta di Arisa ed Emma Marrone come soubrette sarebbe tutta una cospirazione. Tipo gli illuminati o il gruppo Bilderberg insomma. Tutto organizzato nei minimi dettagli. “Le assumiamo come soubrette così almeno quest’anno non cantano”.

Astuto Carlo. Astuto. Almeno questa volta, il sedicenne sfiduciato si ritroverà a dover fare i conti con i commentatori professionisti, gli esperti musicali e il toto vincitore. Le cose italiane. Le cose che fanno impazzire gli uffici ed i bar stracolmi, in quel periodo, di fischiettatori e autori. “Caffè?”, “Si, grazie!”, “Io avrei scritto Paolo, non Marco. Paolo se n’è andato e non ritorna più”– continua fischiettando – “Giusto. Ci sta meglio”, “Si, Paolo. Paolo! Suona meglio”. E così via a scrollare, scrollare e scrollare.

Lo scrollamento genuino, passionale. Bello. E finalmente scompariranno i tempi bui di quando la bacheca era fatta solo di Mattarella e di “Je suis Charlie”. La giornata interminabile a passare giù migliaia di foto nere con la scritta bianca. Secche. Io sono Charlie. Condivido. La strage Parigina ovunque. Dentro le nostre case, sui nostri monitor. Poco, però, nel nostro futuro. “Oggi sono Charlie anche io. Lo sono tutti, ma domani, domani torno ad essere Andrea. Non si sa mai”.

Quante cose l’Italiano sfiduciato avrebbe voluto dire al figlio. Ma ahimè non capirebbe o forse, meglio così. Meglio lasciarlo nel suo mondo. Il silenzio. Un libero silenzio alternato a rabbia. “Menomale che c’è Sanremo”. Charb/Cabu/Wolinski/Tignous/Honoré. Loro credevano in qualcosa, credevano che qualcosa sarebbe potuto cambiare. Credevano, per il solo fatto di essere delle persone libere. Disegnavano per tutti noi. Oggi, purtroppo, non disegnano e non sono più liberi.

Noi dovremmo imparare a scrollare di meno la bacheca e a disegnare di più. Così da provare la sensazione di sentirci delle persone veramente libere.


Articolo precedenteUna giornata uggiosa
Articolo successivoRicordi siciliani dall (e) margine
Casertano di nascita, francese d'adozione. Nato nell'aprile 1991. Per anni ha inseguito il sogno di diventare musicista, per poi capire che, forse, era meglio iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche. Nel 2014 studia un anno presso Sciences Po Toulouse, dove ha conseguito il certificato di studi politici. Ha seguito, nel team organizzazione e comunicazione, alcune campagne elettorali tra cui le municipali francesi 2014. Appassionato di musica, soprattutto jazz e comunicazione, quella politica. Ama viaggiare, l'arte e lo sport. Scrive per varie testate online, occupandosi di fatti di politica italiana e sopratutto estera. È autore del romanzo "Solo tre giorni", disponibile in vendita su iTunes e Amazon.