“Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” (1Cor 13,13)

Ciao, maestro,

eccoci a noi. Avevi espresso il desiderio di andare incontro al Risorto nel giorno in cui la liturgia celebra la festa del Battesimo di Gesù. E così è stato.

C’è chi, nei giorni scorsi, mi ha esortato a preparare questo pezzo. Gli ho risposto che non avrei mai voluto scriverlo…

La verità è che non so da dove cominciare. Quando parte un maestro, la tentazione forte è di perdersi nei ricordi, di dire quanto lui sia stato importante per te e per la tua famiglia, di raccontare particolari, molti dei quali decisivi, che è giusto che restino solo tra lui e te. Peraltro, un racconto simile riguarderebbe più la mia vita che la tua, mentre oggi sei solo tu il protagonista.

D’altra parte, la difficoltà non è solo questa. Chi leggerà queste righe senza aver avuto il dono di conoscerti, potrà pensare che si tratti delle solite frasi di circostanza. Chi invece, e sono proprio tanti, ti ha incrociato nel suo cammino, sa bene che la profondità del tuo mistero di uomo e sacerdote non si può esplicare in questa pagina…

Sei stato un docente di Sacra Scrittura: solo questo, tra i mille tuoi, è il titolo con cui intendo ricordarti. E per generazioni e generazioni di sacerdoti pugliesi, tu sei stato il docente più temuto: superare l’esame con Lenoci, significava per i seminaristi di Molfetta, dove hai insegnato per oltre 40 anni, toccare il cielo con un dito. Solo dopo, passati il terrore o l’euforia, ci si rendeva conto di quanto il tuo insegnamento avesse loro lasciato. “La bibbia si legge con la bibbia”, ripetevi sempre, e queste parole indicavano un metodo, rigoroso, proprio come te. Un metodo che discendeva da amore per la Parola, ma anche dalla competenza che da quell’amore derivava: significava non solo, nel lavoro esegetico, aver cura di conoscere e studiare i testi sacri originali, comportava anche l’urgenza di non far dire alla Scrittura ciò che era, invece, nei nostri capricci. La tua severità non era, dunque, verso i tuoi allievi, ma verso te stesso: non ti concedevi sconti per non tradire la Parola. Ed è questo, forse, l’insegnamento più bello che ci hai donato.

Chi, però, ha avuto la doppia fortuna di frequentarti anche quando il tempo dei banchi universitari era ormai finito, ha potuto gustare ulteriori tratti caratteristici della tua persona, tratti che – si può dire? – la tua timidezza si sforzava di celare. Eri dolce, attento, premuroso, animato da grande generosità. Ti piacevano i fatti, piuttosto che le parole – anche qui: troppo afferrato dalla Parola per sprecarti in parole – e i tuoi fatti erano animati dalla carità.

Mi rendo conto che non sto facendo un servizio buono a chi non ti ha conosciuto. Sto dicendo troppo poco. Ma se questi ti avessero visto in volto quando, spiegavi il testo di Mt 6, forse capirebbero…

Mt 6,25-34, il discorso noto come “abbandonarsi alla Provvidenza”, ma guai a usare con te il termine “Provvidenza”: sarebbe stata bocciatura sicura… Ricordo come se fosse oggi: «Abbandonarsi al Padre celeste (ecco il termine giusto), non vuol dire starsene con le mani in mano, tanto Lui che veste i fiori del campo e nutre gli uccelli del cielo, penserà anche a noi. Fate attenzione, ragazzi, al versetto 33: abbandonarsi a Lui significa cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia, sapendo che tutto il resto ci sarà dato in aggiunta. Non c’è alcun intervento della Provvidenza da invocare a fronte delle ingiustizie del mondo, di cui siamo responsabili e davanti alle quali siamo chiamati a rimboccarci le maniche…».

Ma le tue parole sulla Parola, che meriterebbero di essere ricordate, sono davvero tante: «Ragazzi, san Paolo, in Rm 13,8, ci tira uno scherzo non da poco. Scrive: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole”. Capite? Prima ci dice che non abbiamo debiti, poi precisa che l’unico debito è l’amore e così ci indica una strada ben più esigente del mero rispetto di una lunga serie di comandamenti».

Ancora: «Ragazzi, l’inno alla carità di 1Cor 13 si riassume nel versetto finale: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità”».

E tu ti sei fatto carità, caro don Michele, come tralcio unito alla vite (quanto amavi il capitolo 15 del vangelo di Giovanni!), ti sei immerso in Cristo, tu in Lui e Lui in te, e noi abbiamo goduto dei tuoi frutti, che ci hanno nutrito e ora sono seme in noi.

La tua ultima immersione è stata la malattia. Ti ha aggredito. Ti ha violato. Ti ha fatto molto soffrire. Ma non ti ha cambiato. L’hai affrontata con fede, come agnello mansueto condotto al macello. Ti sei battuto con dignità, la stessa che tua sorella Bina – al tuo fianco giorno e notte, ogni singolo minuto di questo lungo calvario – ha difeso come una leonessa, con le unghie e con i denti, quando era necessario.

Chi ti ha incontrato anche nelle ore finali della tua vita ha potuto gioire del fatto che ancora non ti mancava la battuta, il brio del tuo humour all’inglese, la luminosità del tuo sguardo. Chi, come me, ora ti deve salutare, piange, a calde lacrime, ma il suo pianto è consolato dalla certezza della fede che tu gli ha trasmesso e che ogni giorno, per noi, ha testimoniato.

Ciao, maestro. Alla prossima lezione.


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. Ho potuto conoscerlo solo per circa due anni di Università in Scienze Religiose. La sua materia era Sacra Scrittura, ed è stato per me, e credo per tutta la classe del 2014/15- 2016/17, un vero Profeta di Gesù Cristo, mi ha subito fatto innamorare di Lui, come fare Esegesi, come porsi nella sua interpretazione, con la luce nei suoi occhi e noi affascinati dalla sua parola, abbiamo amato i testi sacri e il suo insegnento. Grazie Padre Michele così io ho sempre attirato la sua attenzione, come Gesù diceva di Giovanni “L’amato” che Egli amava, così vedevo in lui l’amore che ci trasmetteva di Gesù attraverso la Sacra Bibbia. Buona Pasqua mio Maestro e Padre, ti ho visitato nel tuo letto di sofferenza in Andria, salutanto tua sorella ho pianto e pregato, ora ti chiedo di vegliare su di me e su tutta la tua classe che hai amato. Ciao

  2. L’ho ascoltato, con tanta attenzione e interesse, durante lo svolgimento di ben tre corsi di formazione sull’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA presso il Settimo di Andria: UN PROFONDO CONOSCITORE DELLA BIBBIA, UNA SPLENDIDA PERSONA!
    UNA ‘MENTE APERTA’, ILLUMINATA!
    Sono addolorato!

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